“Barca Nostra” diventa un’istallazione della della 58° edizione della Biennale d’Arte, intitolata May You Live In Interesting Times. L’imbarcazione è il simbolo di una delle tragedie in mare più grandi di sempre: dai 700 ai 900 morti. Solo 28 superstiti.
Ci sono voluti tre giorni per trasportarla da Augusta a Marghera. Dopo è stata trasbordata su una chiatta che l’ha posizionata, come progettato dal suo ideatore Christoph Büchel, nel bacino dell’Arsenale di Venezia, all’altezza della grande gru metallica ottocentesca. Sarà visibile al pubblico dall’11 maggio al 24 novembre, come simbolo delle tragedie dell’immigrazione.Del relitto del peschereccio naufragato nel 18 aprile 2015 nel Canale di Sicilia rimane sono una barca squarciata, scolorita dal sole e dal mare.
«Lontana da distrazioni, lontana dal chiasso, invita solo a un grande silenzio e alla riflessione», afferma Paolo Baratta, presidente della Biennale. Le reazione politiche non si sono fatte attendere e forse hanno dimostrato che invece di silenzio ce n’è proprio bisogno. «Le vittime dei trafficanti di esseri umani meritano il massimo rispetto – dice Da Re, candidato alle Europee per la Lega -. D’arte non mi intendo molto, questa è senz’altro una madornale sciocchezza. Mi dicono che l’idea sarebbe portare prima o poi a Bruxelles il barcone. Io trovo avrebbe più senso portare in Europa buoni propositi per fermare il flusso dei migranti». Da Re qualche confessa che non andrà alla Biennale «stavolta proprio no, girerò decisamente al largo perché questa “arte politica” non la capisco e non la voglio capire». Sentiranno la sua mancanza.
«Serve a smuovere le coscienze»
In quella terribile notte del 18 aprile 2015, circa settecento persone rimasero intrappolate nella stiva di un peschereccio che avrebbe potuto trasportare meno di cinquanta persone. Ventotto i superstiti. Al momento del recupero dei corpi, la gru che sventrò il relitto mostrò una scena raccapricciante. Alla domanda -lecita- se la “Barca Nostra” è arte, Baratta risponde: «Serve a smuovere le coscienze».
Ora si chiede di chiudere i porti, ma probabilmente dovremmo solo chiudere la bocca.
Serena Fenni