Barber è morto a 77 anni. Con lui se ne va un altro maestro del pensiero democratico, autentico profeta dei mali della civiltà liberale ridotta a libero consumismo.
Benjamin Barber, teorico della politica e intellettuale impegnato, se ne è andato in un momento in cui le sue ricerche e le sue riflessioni sono più importanti che mai. Il mondo è attraversato da ondate di populismo e nazionalismo vecchio stile – e i meno peggio sembrano essere i cinici che attraversano il paesaggio dandosi aria di vecchi saggi : mentre sono dei folli
.
Nel 1975, in un racconto lungo stranamente ben 25 pagine, Jorge Luis Borges evocava il grandioso e utopico progetto del Parlamento del mondo.
L’istituzione in cui tutti gli esseri umani finalmente si sarebbero parlati e, venendosi incontro, avrebbero risolto i problemi che affligono l’umanità dai tempi di Babele.
La conclusione della storia è che non serve istituire un Parlamento mondiale perché “è cominciato con il primo attimo del mondo e continuerà quando saremo polvere” e ” non c’è un luogo in cui non si trovi”.
Barber e l’utopia di una democrazia globale
Ultimamente Barber era stato meno ottimista, ma non meno utopista, e aveva contribuito ad istituire all’Aja in Olanda (e dove se no ?) il “Parlamento globale dei sindaci”.
Fra globalizzazione turbo e impulso a cercare la sicurezza nella (auto)ghettizzazione, che stanno mettendo in crisi gli Stati, Barber credeva che fossero gli spazi metropolitani, le città, l’ambito più appropriato dove poter collocare il miglior governo del mondo.
In diversi scritti, da ultimo Cool cities, Barber aveva infatti messo le città, le metropoli – con la loro capacità di creare cittadini e spirito civico – al centro della lotta per il progresso.
In primis nella lotta contro il cambiamento climatico.
Città come luogo di incontro fra culture diverse e classi sociali spesso contrapposte. La città come vettore della Civiltà: il riferimento classico per Berber non aveva perso di attualità, nonostante tutto.
E lo metteva invece in rotta di collisione col concetto che al centro di tutto siano LE Civiltà, cioè le diverse tradizioni culturali risalenti nel tempo, essenzialmente più forti di tutto e di ogni spinta al progresso.
Barber teorico e attivista
Barber, teorico della politica ma anche concreto attivista civico, aveva fondato ( proprio l’anno prima del racconto di Borges) “Political Theory”, rivista con cui aveva lanciato una carriera lunga fino a questa settimana – carriera i cui frutti non si esauriscono certo con la sua scomparsa.
Borges in quel racconto disegna la parabola di chi sublima l’impegno politico giovanile, e il fervente idealismo, in un sereno disincanto cosmico.
Barber al contrario ha sempre cercato di coniugare rigore analitico e urgenza per le necessità pratiche, illuminate da scienza e idealismo.
Negli anni 80, con Strong Democracy, in cui contesta la riduzione della democrazia al solo momento elettorale – a mera procedura – anticipò le contestazioni recenti : come quelle di Crouch e la sua Postdemocracy.
In epoca di reaganismo rampante, Barber denunciò che la democrazia deve essere anche sostanza : spirito civico, progresso sociale ed economico, uguaglianza e libera circolazione di idee.
Il capitale sociale
Lui, come altri studiosi quali Dahl, sottolineavano come il “capitale sociale” sia non meno importante del “capitale finanziario”.
La fiducia fra i cittadini, e di tutti nella legge e nella sua capacità di incarnare la giustizia, sono un ingrediente essenziale senza il quale la democrazia si riduce a guscio vuoto.
Un guscio da difendere, certo: ma vediamo tutti che tipo di democrazia rimane, quando la parola democrazia e sovranità popolare sono impiegate come armi di dominio delle masse, da parte dei signori al potere in Turchia o Russia o Cina, o magari Ungheria.
Divisione dei poteri e potere della pubblica opinione sono imprescindibili : e devono esserlo nella sostanza, non solo nella forma, oppure sono guai seri.
La democrazia si fonda essenzialmente su una forte fibra, costituita da una società civile consapevole e riccamente articolata nei suoi gruppi, interessi,e valori.
I pericoli della società dei consumi
Nel 2007, alla vigilia della conflagrazione della bolla finanziaria, era tornato sul punto, e l’aveva approfondito.
In Consumati denunciava come non solo il cittadino sovrano fosse stato ridotto a elettore occasionale – ma che ormai addirittura l’orizzonte delle democrazia fosse stato rinchiuso nella figura del semplice consumatore. Da cittadino a cliente insomma (delle aziende o di quella aziende al servizio di altre aziende, chiamate con un anacronismo “partiti”).
Ma la cittadinanza o è attiva, o non è : libertà e partecipazione, avrebbe detto Gaber.
E con ciò, sulla scia della grande tradizione del pensiero democratico americano, il suo slancio teorico si coniugava con un idealismo pragmatico e metodico.
Democrazia o Populismo
Un pensiero, quello democratico di radice emersoniana e whitmaniana, in grado di temperare con la buona teoria le ondate populiste.
O meglio, di temprarsi al confronto con le rivendicazione concrete avanzate da quelle periodiche ondate. Le ondate che in passato hanno reso protagonista la classe media americana – aprendo le élites accademiche alla voce di quella larga parte della società che non può essere snobbata, salvo pagarne il prezzo in seguito, come insegnano esperienze molto nere.
Contrario ad ogni cinismo, come ad ogni strumentalizzazione degli ideali;
sempre con la mente al maestro Thoreau e al suo idealismo tanto pragmatico e alieno da schemi astratti buoni a tutti gli usi, Barber contestò la retorica della guerra di civiltà.
Contro la Guerra di civiltà : per la Civiltà
Anche in questo, fu tra i primi a condannare la vera divisione del mondo: non fra Mondo libero e Barbarie arretrata, ma fra “McWorld e Jihad”.
Negli anni 90 infatti colse al volo il clima che si stava formando, in anticipo su molti mass media, forse anche a causa del confronto con Huntington e la evoluzione in senso conservatrice delle riflessioni sul mondo mutliculturale.
Nel suo libro Jihad vs McWorld avvertì che una occidentalizzazione del mondo fondata solo sul libero mercato avrebbe ravvivato nuovi conflitti per reazione di culture non rassegnate a scomparire nel ventre di un qualunque Centro Commerciale o McDonald’s (da mettere magari al posto di Moschee e Chiese e Templi).
L’11 settembre arrivò : ma di nuovo memore della lezione di Thoreau e del suo pacifismo, Barber contestò (L’impero della paura) la “War on Terror”.
Soprattutto ne denunciò gli intenti imperialisti ed economici, mascherati con la strumentalizzazione di ideali antichi e gloriosi riassunti (freudianamente) dalla formula “esportazione della democrazia”.
Come se la libertà fosse una merce qualunque, da delocalizzare o esportare, magari con l’aiuto di qualche cannoniera – come nell’800.
Non era d’accordo con la visione di Huntington, ma certo le discussioni ad Harvard coll’autore dello Scontro delle civiltà contribuirono alla preveggenza di Barber.
La verità del Potere
Berber denunciò che gli ideali di diffusione della democrazia, per quanto discutibile, erano degni di merito se proclamati da sinceri democratici come i Jefferson o i Kennedy o i Roosevelt;
ma certo non dal Partito repubblicano, che casomai si era sempre fatto apprezzare per un sobrio pragmatismo alieno da sanguinose avventure.
Fino al 2001.
La polemica contro una visione ormai da “integralismo finanziario” era comunque anch’essa ormai chiarissima – e ogni giorno che passa sempre più elementi concorrono a suffragare le sue tesi.
Non da ultimo, il suo implicito rifiuto del modello civiltà-cultura locale (col mondo diviso opportunamente in sfere d’azione e influenza ben separate) presa da Huntington e che serve ai conservatori solo a giustificare come si possa rivendicare la democrazia qui, e continuare a fare affari con le dittatura lì.
In questo senso, che esistesse un mondo di serie B non era inutile per chi si avvantaggia di condizioni peggiori dei lavoratori nei paesi di classe arretrata o presunta tale. L’importante, sta nel controllare la classe dirigente di quei paesi, magari tramite giornate elettorali che riassumono tutta la democrazia consentita.
Col bel risultato di vedere che l’unica ad espandersi è proprio la tirannide travestita da democrazia.
Altro che fine della Storia!
Società civile 2.0 e democrazia in crisi
Barber, insieme a autori come il già citato Dahl o Putnam e altri, contestava la democrazia ridotta a procedimento, e chiede una società dove i cittadini vivifichino e innervino partiti e istituzioni – dove la democrazia si dimostri quell’energia che nasce dalla libertà, dalla linfa vitale che deve scorrere in ogni luogo e in ogni ambiente sociale.
I partiti ridotti come sono invece oggi, tutti ormai sostanzialmente sclerotizzati, sono lo spettro contro cui Barber ci metteva in guardia.
Lo spettro di un sistema in rovina.
La democrazia invece si nutre di cittadini che si sentano e agiscano intimamente ed esteriormente da persone libere: e così nutre la libertà del singolo e della comunità. Lo aveva capito già Tocqueville duecento anni fa.
Senza spirito di comunità, non ci può essere vera libertà di ciascuno – e le elezioni si riducono a un rito, o a un talent show molto volgare, e lo abbiamo visto tutti.
La democrazia non si fonda su spettatori passivi, ma su individui coinvolti in pieno : perché libertà e responsabilità sono la coppia di valori che consente a ciascuno di tirare fuori il meglio di sé. E questa è una lezione che il nostro Salvemini al contempo trasmise ed apprese nell’America patria della democrazia, dove s’era rifugiato.
Era questo l’asse portante del pensiero democratico di Barber, e da qui si deve continuare ad andare avanti.
ALESSIO ESPOSITO