Le banlieue e la violenza nella periferia parigina

violenza nella periferia

Le Haine

“Bavure policier” è l’espressione usata dai francesi per indicare la “brutalità della polizia”

L’esplosione di violenza nella periferia parigina durante le ultime settimane ha occupato le prime pagine dei principali quotidiani francesi.
Prima ancora di giungere all’attenzione della stampa, la notizia è dilagata sul web. Alcuni ragazzi residenti nelle banlieue di Villeneuve le Garenne, hanno condiviso il video di un trentenne motociclista rimasto ferito ad una gamba, in seguito alla collusione con una vettura della polizia.

Le circostanze sembrano ancora poco chiare. Mentre i locali sostengono che la polizia abbia voluto deliberatamente ferire il ragazzo, le forze dell’ordine affermano tutt’altro.
In ogni caso l’accaduto ha alimentato il malcontento dei residenti, che nei giorni successivi hanno dato vita a vere e proprie azioni di guerriglia contro la polizia.





Come ha sostenuto il Foglio, il lockdown è persino più difficile per gli abitanti delle banlieue. La grande densità abitativa e gli spazi ridotti non aiutano. Inoltre è importante ricordare che molti di loro appartengono a quella categoria di lavoratori che non si è mai fermata (netturbini, badanti…).

La violenza nella periferia di Parigi non è una novità

Fin dalla creazione delle baraccopoli del 1950, era chiaro che ciò avrebbe creato una separazione netta tra i più abbienti residenti in centro e le classi popolari nei sobborghi. Successivamente, però, la classe media, essendosi arricchita, si è trasferita in città. A quel punto i migranti provenienti dal Maghreb e dall’Africa Occidentale, ne hanno preso il posto.
I quartieri popolari si sono trasformati in veri e propri ghetti. Speranze e sogni lasciano il posto a rabbia e disillusione, che trovano rifugio nel fondamentalismo islamico.
Le prime rivolte si verificano nel 1979 nei sobborghi di Lione.

Il disagio sociale e la violenza nella periferia catturano finalmente l’attenzione della stampa

Ma è solo con le rivolte del 2005, quando in tutto il mondo si diffondono immagini di auto e cassonetti bruciati, che il governo francese è costretto a riconoscere pubblicamente il problema.
Dai tempi in cui la stampa estera parlava di “guerra civile” e Jacques Chirac affermava che sarebbe stato fatto il possibile per dare ai giovani pari opportunità, chiamando tutti “figli e figlie della Repubblica”, non sembra essere cambiato molto.

Secondo Amar Henni, educatore nelle banlieue, intervistato dal quotidiano Libération, le ragioni delle rivolte sono da attribuire al bisogno di rispetto e dignità, alla necessità di essere reputati “i più forti” e alla totale assenza delle istituzioni, da cui si ci sente profondamente abbandonati.

Dinamiche facilmente riconoscibili a Napoli come a Chicago. Come racconta il celebre gruppo francese PNL nella canzone le monde ou rien: tutte le periferie del mondo sono uguali. 

“Les larmes de la misère ont l’goût de ma haine”.

(Le lacrime della miseria hanno il gusto dell’odio)

La violenza nella periferia attraversa il globo e rivela il paradosso delle società occidentali. 

Luoghi come Chicago, una tra le città più ricche degli Stati Uniti, celano sobborghi come il Terror Town, in cui la polizia, per paura, non mette piede. In cui ogni weekend si fa il conto dei morti, a causa delle sparatorie tra gang rivali.

Le periferie diventano quindi il lato oscuro delle città, patria degli invisibili, in cui la miseria e l’abbandono sono benzina che alimenta un odio profondo. Ma è solo quando quest’odio sfocia violenza, che lo stato sembra ricordarsene.

Violenza che per altro ha per protagonisti generalmente due attori: gli abitanti dei sobborghi e la polizia. Un eterno conflitto tra “noi e loro”, reso insolvibile dall’incapacità di comunicare. Come Antigone e Creonte. Da un lato chi, estasiato dal potere, si identifica con la legge. Dall’altro chi non la riconosce. 

Un conflitto dal tragico epilogo, che non ha vincitori, ma solo sconfitti. Per citare il celebre film Le Haine: “Siamo una società che precipita ed ogni piano si ripete fin qui tutto bene, fin qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”.

 

Giulia Di Carlo

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