La Banca Mondiale ha sospeso il prestito di 300 milioni di dollari alla Tanzania. Nel 2014 aveva preso la stessa decisione contro l’Uganda. La motivazione è una in entrambi i casi: violazione dei diritti umani.
Tanzania
All’inizio del 2018 la Banca Mondiale aveva concesso un prestito di 500 milioni di dollari alla Tanzania per migliorarne il sistema scolastico. Ieri però è arrivata la decisione di bloccare 300 milioni di dollari di questo stesso prestito.
Il motivo è il divieto per le ragazze incinte di frequentare la scuola. Il presidente della Tanzania, John Magufuli, ha di recente esteso la regola. Ora le ragazze non possono tornare a studiare, nemmeno dopo la nascita del bambino. Alcune scuole dello Stato prevedono anche l’obbligo di un test di gravidanza per le alunne.
In una dichiarazione ufficiale pubblicata dalla CNN il portavoce della Banca Mondiale ha spiegato che la possibilità per le ragazze di studiare comporta un “ritorno economico e sociale molto alto per ogni società oggi e nelle generazioni future”. Ha inoltre sottolineato che la Banca mondiale “continuerà per garantire alle ragazze l’accesso all’istruzione dialogando con il governo della Tanzania”.
Le dichiarazioni della Banca Mondiale hanno seguito quelle del portavoce della Danimarca, principale investitore in Tanzania. Il governo danese infatti ha bloccato i propri prestiti disapprovando la legge di Magufuli contro le ragazze incinte.
La Tanzania per il momento non ha commentato la vicenda.
Il precedente in Uganda
La Tanzania non è il primo Stato a subire una sospensione del prestito per motivi umanitari. Nel febbraio del 2014 infatti la Banca Mondiale aveva negato il prestito di 90 milioni di dollari all’Uganda a causa di una legge anti gay. Il prestito avrebbe dovuto risollevare il sistema finanziario del Paese.
La legge introduceva il divieto per i gay di “promuovere il loro modo d’essere“. Chiunque si fosse dichiarato gay avrebbe dovuto essere denunciato alle autorità. La pena prevista era l’ergastolo. A causa della legge l’Uganda aveva perso gli aiuti di Stati Uniti, Danimarca, Svezia e Norvegia. Solo dopo le reazioni forti dei ministri degli Affari Esteri di questi Paesi, la Banca Mondiale aveva deciso di fare altrettanto. Il ritardo nella decisione aveva causato molte critiche verso l’organizzazione.
Le ambiguità della Banca Mondiale
L’attenzione della Banca Mondiale per i diritti umani non è sempre stata costante. Nel giugno 2017 Human Rights Watch e il Forum uzbeco – tedesco per i diritti umani avevano accusato l’organizzazione di finanziare in Uzbekistan dei progetti agricoli in cui veniva sfruttato il lavoro minorile e forzato.
Le due associazioni avevano compilato un report in cui denunciavano la situazione dei campi agricoli nel Paese. Le persone venivano costrette a lavorare nei campi di cotone indipendentemente dalle loro capacità e dal loro stato di salute. L’obbligo si estendeva anche ai bambini. Nella tredicesima pagina del documento viene citato un insegnante intervistato da Human Rights Watch:
Il cotone è obbligatorio per tutti. Il governo dà degli ordini e tu non puoi ribellarti agli ordini. Se mi rifiutassi, mi sparerebbero. Perderemmo tutto il pane che mangiamo.
Il presidente del Forum uzbeco – tedesco per i diritti umani, Umida Niyazova, ha chiesto alla Banca Mondiale dei chiaramenti sulla gestione dei fondi verso l’Uzbekistan e perché si sia limitata a controlli superficiali. In questo modo, di fatto, l’organizzazione ha permesso al governo uzbeco di commettere abusi e illeciti.
La Banca Mondiale dunque difende davvero i diritti umani? O usa due pesi e due misure a seconda dell’investimento? Per il momento sembra che la Banca sia pronta a bloccare i propri prestiti solo a seguito di prese di posizioni forti da parte di alcuni Stati.
Giulia Dardano