Un proverbio africano recita che quando gli elefanti combattono è l’erba a farne le spese, a sottolineare che quando i potenti agiscono sono le persone deboli a soffrire.
La frase è stata pronunciata da John Mpaliza, un ingegnere informatico di quarantasei anni originario della Repubblica Democratica del Congo trasferitosi in Italia nel 1993.
Nel 2009 tornò nel paese d’origine rimanendo sconvolto dall’inferno creato dalla guerra civile scoppiata nel 1996, che ha provocato almeno sei milioni di morti.
Il Congo si trova al centro dell’Africa ed è grande circa otto volte l’Italia, ricco di acqua dolce e terre fertili. Dotato di una biodiversità unica, nasconde nel sottosuolo uno dei maggiori patrimoni minerari mondiali: oro, diamanti, rame, stagno, cobalto, manganese e coltan. Eppure si trova agli ultimi posti dell’Indice di sviluppo umano come condizioni di vita della popolazione.
Molte miniere sono in mano a gruppi armati che le utilizzano per finanziare la guerriglia. Pochi sanno che dal cobalto si ricava il litio per le batterie di cellulari, computer portatili e auto elettriche. Invece dal coltan si ottiene il tantalio, necessario per produrre microchip, condensatori e in generale i dispositivi elettronici per l’informatica e l’hi-tech, i vetri resistenti al calore e i convertitori catalitici dei veicoli.
Di recente Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui denuncia lo sfruttamento umano e minorile nelle miniere di cobalto congolesi. Senza protezioni e misure di sicurezza, adulti e bambini scavano in cunicoli che spesso crollano seppellendoli o setacciano il materiale di scarto delle grandi miniere. I maggiori danni li subiscono polmoni e pelle: la polvere respirata provoca lesioni irreparabili. L’Unicef ha stimato in 40.000 i bambini impegnati in questa attività nel 2014. Iniziano a sei, sette anni e rimangono a lavorare per dodici ore, dormendo nei cunicoli per guadagnare uno o due dollari al giorno. A dodici anni si ritrovano con i polmoni a pezzi.
Il coltan, che è radioattivo, viene pagato due centesimi al chilogrammo mentre in Europa è quotato cinquecento euro.
Il Congo produce la metà del cobalto a livello mondiale che viene acquistato da una azienda cinese la quale, dopo averlo lavorato, lo rivende a tre grandi industrie di batterie al litio, due cinesi e una coreana, che a loro volta lo distribuiscono ai maggiori produttori di materiale elettronico e di automobili.
Amnesty International ha contattato sedici di queste multinazionali chiedendo informazioni sulla provenienza del cobalto da loro utilizzato ma nessuna è stata in grado di rispondere. Solo una ha riconosciuto la relazione col distributore cinese, nonostante molte vantino una politica di tolleranza zero sul lavoro minorile.
Di fronte a questa realtà terribile John Mpaliza, che in patria ha perso amici e parenti, si è chiesto cosa potesse fare. Dopo quello che aveva visto non poteva rimanere in silenzio e lasciar continuare lo stillicidio e lo sfruttamento umano: alla fine, ispirandosi a Gandhi, decise di essere egli stesso il cambiamento che desiderava vedere dando vita a un progetto di solidarietà con cui sensibilizzare le persone e soprattutto i giovani, artefici delle decisioni del futuro. Con grande coraggio si è licenziato dal posto di lavoro e ha scelto di trasmettere un messaggio d’informazione e pace marciando a piedi, convinto che questi valori possano portare a un mondo caratterizzato da maggiore giustizia sociale
E’ partito da Reggio Emilia, dove risiede, per arrivare in Spagna attraverso il cammino di Santiago de Compostela; successivamente si è recato a Bruxelles, a Roma, a Reggio Calabria e infine a Helsinki. Dapprima è partito solo e in seguito altre persone hanno voluto sostenerlo accompagnandolo per alcuni tratti.
Nonostante la fatica fisica John vuole marciare per rendere cosciente chi incontra, facendo tappa nelle città lungo il percorso in cui tiene conferenze, e chiedere alle istituzioni internazionali ed europee l’obbligatorietà della tracciabilità dei minerali per consentire alle imprese di acquistare in modo responsabile il minerale che arriva da zone di sfruttamento o di guerra.
Il 20 maggio del 2015 John ha ottenuto una piccola vittoria dato che il Parlamento europeo ha introdotto tale obbligo per le industrie che importano minerali come stagno, tungsteno, oro e tantalio originari da zone di conflitto.
E’ però difficile controllare e garantire l’applicazione del vincolo di tracciabilità da parte delle multinazionali, come dimostrato dal rapporto di Amnesty International.
John Mpaliza continua a incontrare le persone che vogliono ascoltarlo per spiegare cosa succede in un paese apparentemente lontano ma di cui ognuno “tiene un pezzo in tasca”, riferendosi ai cellulari che tutti possiedono.
Per lui non agire rimanendo indifferente è ingiusto ed egoistico. Non ha voluto stare in silenzio e divenire complice passivo di un meccanismo economico e politico, ma ha deciso di impegnarsi per trasmettere la propria consapevolezza e provare a modificare una situazione inaccettabile.
Paola Iotti