La bambina celeste mi arriva in lettura nel febbraio del 2016:
“Dipingo da quando sono piccolo; la mia prima immagine artistica è una tela bianca e la mia mano che direziona le pennellate blu; forse ero appena quindicenne, forse quel quadro non l’ho mai finito.”
Mi siedo e apro il libro di Francesco Borrasso.
Oggi non voglio scrivere nulla, mi dico. Mi fa male il braccio.
Apro il libro ed inizio a leggere.
Ora sono qui a scrivere.
Coincidenza assoluta, direbbe Domenico Dara, autore del suo” Breve Trattato sulle coincidenze”.
Coincidenze vuole che il protagonista del libro sia un pittore, come Alberto Badolato, pittore del La Ragione dell’informale.
“Per me la vita era quella, le pennellate e le tele; erano i colori e il potere di dominarli. Ero il creatore di un mondo in cui vivevano le mie regole, il fondatore di una giustizia che si manifestava con le sembianze di colori; qualsiasi tipo di decisione spettava a me, cancellare un disegno, rimuovere una sfumatura, smorzarla, aggiustarla, intensificarla. È stato l’inizio che ha reso ancor più pesante, poi, la mia caduta dentro il vortice della casualità, nella vita reale dove controllo è una parola che non ha alcun significato.”
Mentre parlo e scrivo di coincidenze, l’autore, Francesco, mi risponde, Daniel, il protagonista mi risponde “ci rifletto e capisco che tutto, qualsiasi fase iniziale di un percorso importante dipende esclusivamente da un solo, unico passo; non da coincidenze, talenti, impegno, forza, certo sono tutte cose che servono, ma non bastano; è quel passo, in quel momento, in quell’ora, durante quei minuti, l’afferrare quel secondo; nemmeno lo sappiamo, ma quel secondo domato è più importante di tutto.”
Ad est dell’equatore è la stessa casa editrice di “Soli eravamo” scritto da Fabrizio Coscia, altro libro da me amatissimo, Fabrizio sa, quasi al limite dell’ossessione leggente, libro che sta nei primi posti del mio regno della Litweb.
Dopo ” Soli Eravamo“ ora leggo Francesco Borrasso con questo esordio di grande umanità. Un amore così grande. Un dolore così grande. Una vita non basta a insegnarci cosa farne del dolore, dell’attimo che viviamo.
“Alcuni dolori sono semplicemente un pensiero che non riusciamo ad uccidere. Alcune sofferenze ci germogliano dentro la testa, ci afferrano per i capelli e ci costringono a ricordare com’era quell’inferno in cui eravamo capitati.”
“La normalità non esiste; è solo un modo con cui le persone chiamano i momenti in cui non c’è il dolore”
“Quando vivi un sentimento che tende alla speranza, tutte le cose che ti circondano sembrano più vere, più belle; le persone e gli oggetti sembrano al proprio posto; le case sembrano incastrate nelle loro prospettive; l’aria è la somma di sole ed inverno”
…. nel riprendere tutto quel celeste che mi riporta a te “Per sempre” è un bugia. Non ricordo dove ho scritto anche io questa stessa frase, ma posso ora dire di più su questo racconto ritmato sul dolore di un padre che, nella prova, non regge alla condivisione e gestisce un rapporto unico con la sua bambina celeste. Escludendo la donna amata, la compagna, la mamma.
Un dolore unico come già sembrava unico il rapporto fra figlia e padre, come sono così spesso i rapporti fra genitori e figli. Unici.
Un racconto con un ritmo familiare, come familiare e conosciuta è la tragedia che incombe in questi nostri anni avvelenati da questa epidemia. Il cancro.
“Veniamo prima di qualsiasi forma di dolore; per quanto la sofferenza di un altro essere umano possa appartenerci e diventare anche nostra è sempre con noi stessi che cerchiamo una tregua.”
“Per un essere umano è difficile accettare che la serie di eventi che hanno preso a innescarsi sotto i suoi occhi siano senza controllo; è destabilizzante, è doloroso essere impotente.”
Nella nostra impotenza leggiamo e scriviamo, piangiamo e ridiamo.
Una scrittura, questa di Francesco, “sincera come l’acqua di un fiume di sera” mi viene di canticchiare con Bruno Lauzi, una scrittura in cui la realtà è immaginazione, nel volo.
Celeste sia il leggere a ciascuno di noi. Dal cielo dove io abito, Litweb. Un regno senza terra.
Una scrittura disciplinata e scelta questa di Francesco. Il più bel racconto letto in un buio inizio del 2016 mi riconcilia con chi ama un testo dipinto di celeste.
Uscito il 12 maggio in libreria lo amerete come lo amo io, a lui dedico questo mio pezzo.
Nulla è per sempre.
Una frase banale nella sua ovvietà. Allora perché noi, umani, continuiamo a chiedere ai nostri pensieri, ai nostri affetti, ai nostri progetti, una eternità inesistente.
Avrei voluto mettere la crisalide sotto una boccia di vetro per impedirle di mettere le ali, di trasformarsi, di essere altro, avrei voluto per sempre la mia adolescenza, mia mamma giovane, mia nonna che raccontava le favole, mia sorella giocare a basket lanciando il suo pallone contro un divieto d’accesso, avrei voluto,per sempre,sentimenti ondeggianti e sway, come la nota canzone, barcollanti.
-Mi amerai per sempre?-E’ una banalità, ma può essere vera se poi aggiungi-finché sarà possibile-finché avrò vita-finché tu lo permetterai-. Poi si scoprirà che il sentimento è univoco, poi si scoprirà che per sempre è un bellissimo sogno, come un bellissimo tesoro celato alla vista degli altri da portare con noi in quei pochi istanti di confine tra la vita e la morte, quando attraverseremo la barriera.
Porteremo con noi per sempre pochissimo e moltissimo, nei flash finali; il sorriso di nostro figlio, se c’è stato, la pazienza di mamma, la sollecitudine di sorella, e un grande amore e rimpianto.
Non so proprio per sempre come sarà.
Le persone entrano ed escono dal nostro spazio vitale dandoci testimonianze diverse.
Come attori, anche noi, pronunciamo battute e andiamo avanti, come attori mal diretti improvvisiamo, poi, ogni tanto, stanchi del logorio di battute stantie e ripetute, scambiamo i logori fogli del copione con altri, già recitati.
Nel cerebrale delle mie costruzioni mentali le parole di libri letti prendono forma e vita, le faccio mie e nel giorno che nasce nuove frasi appaiono confortanti.
Nulla è per sempre, tutto è diverso, e chissà perché mi viene in mente Petra Rosa, vista dal siq, dal nostro canyon, scomparsa, ritrovata, visitata, troppo poco.
(Da Viaggio in Giordania di Ippolita Luzzo)