Ballata per le nostre anime (edito da Mondadori) di Mauro Garofalo è il frutto di un bell’incontro: quello tra una storia di cronaca della Val Brembana, divenuta quasi leggendaria col passare degli anni, e lo stile di un autore che si è distinto già con i suoi romanzi d’esordio Alla fine di ogni cosa e Il fuoco e la polvere (entrambi editi da Frassinelli).
Cosa accade quando una grande penna incrocia una storia potente?
È il 13 luglio del 1914 e Simone Pianetti uccide sette persone a sangue freddo, per poi sparire tra i monti della bergamasca. Nessuno lo trova, nonostante il dispiegamento di innumerevoli forze dell’ordine e la taglia di 5mila lire sulla sua testa. Il mancato recupero del suo stesso corpo, anche negli anni successivi, ha alimentato il mistero, trasformando la cronaca in leggenda. Poi la storia, nelle mani di Mauro Garofalo, è diventata Ballata per le nostre anime.
L’autore non si limita a registrare la notizia storica recuperando le fonti e romanzandole. Garofalo percorre a ritroso gli eventi che precedono l’assassinio e scova, nelle pieghe delle esistenze dei suoi personaggi, luoghi letterari in cui insinuarsi, per arricchire l’emotività dei protagonisti e recuperarne gesti, pensieri, impulsività. Scegliendo la parte della storia sconosciuta al giornalismo dell’epoca, lo scrittore sposta intelligentemente il focus. Egli si concentra non sull’efferatezza ma sulle intenzioni che ad essa conducono, e porta avanti una narrazione carica di crescente tensione.
Ne deriva una vera e propria ballata, che sfuma i confini della cronaca facendo perdere l’orientamento tra realtà e finzione.
Si susseguono sequenze in cui al tempo nitido della Grande Storia si alterna il ritmo ancestrale del piccolo paese. Contrada Lavaggi, con le sue immutabili tradizioni e credenze popolari, è sempre uguale a se stessa. A fare da interludio tra i capitoli, il coro eterno, atemporale, delle anime dei trapassati, che rimuginano sulle proprie esistenze irrisolte. È una Spoon River tutta italiana, capace di trasformare in lirismo ciò che è morte e frantumazione.
Suggerita all’autore dalle Cronache di poveri amanti di Pratolini, Ballata per le nostre anime vive di una polifonia particolare. La pluralità delle voci restituisce il sommarsi di pettegolezzi e dicerie sulla famiglia Pianetti, che sa leggere e scrivere e viene da fuori. Per il paese, le loro ricchezze sono il frutto di un patto col diavolo.
Man mano che la narrazione procede, però, le forze disgreganti prevalgono e la molteplicità di punti di vista diventa il riflesso del gran numero di solitudini incapaci di comunicare e dialogare insieme. Quella scomposizione delle voci frantuma infine la stessa integrità del protagonista, che perde se stesso prima nelle azioni e poi tra i monti.
Simone Pianetti sembra ripetere, nell’atto finale della sua vita, il gesto che da giovane gli valeva gli onori di “cacciatore di camosci”: la mira precisa, il colpo che non falla.
Eppure, l’uomo dietro il mirino è profondamente mutato, ed è diventato più simile al padre sempre disprezzato che al ragazzo di belle speranze che era. Anni prima, il giovane Simù pulsava di vitalità, perfino dopo la caduta fatale nel burrone, quando l’incidente lo aveva portato a un passo dalla morte. È invece solo il pallido fantasma di se stesso quando compie la strage nelle ultime pagine del romanzo.
Come il tempo, con i suoi confini sfumati, non orienta il lettore, così è confuso anche il giudizio su vittime e carnefici, su chi siano realmente i vivi e i morti. Nella danza che ritma la narrazione, lo scambio tra i binomi di presente e passato, oppressi e assassini, vivi e trapassati, si articola con eleganza. Lo stesso lettore è trascinato dalla ballata, che invita a entrare e uscire dalla storia senza poter sfuggire al coinvolgimento al quale questa chiama a partecipare.
Del suo protagonista, Garofalo scrive:
“Simone non stava mai seduto per bene come gli avevano detto madri e nonne e maestre, continuava a oscillare sulle gambe posteriori della sedia, in bilico gli pareva di stare meglio.”
L’equilibrio precario, da ricercare sempre a prezzo di un continuo sforzo, è la condizione esistenziale del Pianetti ma è anche la cifra stilistica di cui vive Ballata per le nostre anime.
Ogni movimento è seguito da un altro e un altro ancora, con un continuo cambio di passo che fa riflettere da una visuale sempre nuova.
Nel ritmo che incalza, nella voce dei tanti personaggi così come nei silenzi degli spazi naturali, descritti come avessero anche loro un’anima e un respiro propri, si sente la fatica delle azioni dei protagonisti, uomini chiamati a reinventarsi sempre in una società a loro ostile.
Terminato Ballata per le nostre anime, rimane una speranza nella nuova generazione di Pianetti, forse capace di spezzare la catena che trasforma i figli nei padri. Questa speranza si mescola, però, a un profondo senso di amarezza per l’impossibilità di recuperare, al termine della storia, un senso assoluto di giustizia.
Martina Dalessandro