Quando quel fascicoletto ormai noto sotto il nome di Panama Papers fece il suo ingresso online ( http://panamapapers.icij.org ), inutile ribadire quale scandalo destò all’interno della comunità internazionale, con i suoi 11,5 milioni di documenti riguardanti quei conti offshore e la miriade di potenti che nascondevano in maniera palesemente criminosa il proprio denaro.
3 aprile 2016. Uno straordinario lavoro di inchiesta giornalistica.
Ma come ogni buona inchiesta che si presenti all’opinione pubblica, i Panama Papers non sono stati altro che l’inizio di una tremenda bufera pronta ad abbattersi su tutti coloro i quali hanno fatto degli “affari segreti del potere” il proprio imperativo.
Da qui i Bahama Leaks, alias la nuova inchiesta che, sulla stessa scia, bacchetta il potere.
Così dove l’offshore diventa la regola, l’inchiesta prende piede, mettendo carta su penna, sulla base dello stesso modus operandi il paradiso fiscale delle Bahamas. Icij, ergo l’International Consortium of Investigative Journalists, di cui l’Espresso fa parte per l’Italia, ha continuato ad indagare scoprendo nuovamente le lascive azioni di chi tutto ha e tutto nasconde, annoverando “politici, imprenditori, banchieri, finanzieri, insieme a mafiosi, latitanti e trafficanti, hanno aperto conti correnti e società anonime per sfuggire al fisco e alla giustizia.”
Vizietto , quello dell’offshore, che si presenta nuovamente essere più diffuso di quanto si credesse, più in voga del jeans Levis e l’aria vintage ancorata al suo fianco, quasi gli effetti della globalizzazione si presentassero sul panorama mondiale come un susseguirsi di azioni criminose che hanno per fine la fuga per i pubblici contributi.
All over the world. La riprova che il detto “tutto il mondo è paese” ha lasciato la strada della smentita per quella dell’autoproclamazione.
Sappiamo che la genesi è Panama, il motivo è la convinzione del marcio, che tanto lontano dalla realtà non risulta essere, lo sviluppo non risparmia nessuno, fino al più misero angolo del pianeta sconosciuto al mondo stesso e la finalità è la verità.
Perché vedete, potremmo passare tutto il tempo a parlare dell’offshore, ma ogni qual volta verrà realizzata un’inchiesta che tocca il potere in ogni sua manifestazione, nonché la rinomata zona grigia che si cela al suo interno, la sola cosa che possiamo dare per certo è che qualcuno sta cercando di portare la merda a galla: un insieme variegato di verità lasciate a marcire, nella speranza che nessuno mai potesse rivelarle.
Panama Papers, come oggi Bahamas Leaks, non sono che degli strumenti, che ci aiutano a capire la dimensione in cui viviamo. La società, guardando ai margini e oltrepassando i bei faccini che la costernano. Guardare le loro facce e pensare che la nostra informazione, le nostre aziende, la nostra politica, la nostra comunità è governata da quelle persone i cui nomi riempiono le inchieste di cui tanto parliamo e altrettanto dimentichiamo, da paladini della verità con la memoria corta.
Una fuga di notizie che ci regala un archivio di oltre 175 mila società inserite nel “Registrar General Department”, dei nomi da far venire la pelle d’oca, tra cui spicca nello scandalo generale quello dell’ex Commissaria alla Concorrenza dell’UE Neelie Kroes, destando non poco imbarazzo all’istituzione internazionale.
C’è poi Carlos Caballero Argaez, il figlio dell’ex dittatore cileno Pinochet, lo sceicco del Qatar Al Thani, il presidente dell’Argentina Mauricio Macri, il padre dell’ex primo ministro inglese David Cameron, Ian Cameron, e così via, dei nomi che toccano tutto il mondo, ai livelli dirigenziali.
Ma l’inchiesta non si è conclusa, continua, feroce e affamata di verità come mai.
Non rimane che aspettare, nella speranza che questa non possa che essere un’altra vittoriosa battaglia nel cammino della ricerca della verità.
Di Ilaria Piromalli