Baby Driver: giusto queste due parole basterebbero due parole per descrivere il protagonista del film, giovane di Atlanta in Georgia, USA, immischiato nella malavita per uno sgarbo a Doc (Kevin Spacey sempre carismatico), suo “capo” che lo ha incastrato indebitandolo e costringendolo a far l’autista nelle rapine che lui stesso organizza.
Baby (Aron Englort) è geniale, gentile, timido, fluido nella corsa come una fuga musicale, amante della grande musica e assillato da un acufene che lo spinge ad ascoltare canzoni costantemente per sopperire al fastidio.
Vive con un padre adottivo sordo, Joseph (CJ Jones) e che lo vorrebbe vedere sulla buona strada, s’innamora della bella Debbie (Lily James), cameriera in un diner con cui sogna di fuggire al suono di musica verso un futuro senza piani e tanti sogni.
Ma il mondo del crimine non perdona e non lascia andare nessuno, soprattutto se si ha a che fare con dei compagni di crimine come Bats (Jamie Foxx), Buddy (Jon Hamm) e Darling (Eiza Gonzalez). La fuga da quell’ambiente non sarà di certo facile…
Pensate di andare a vedere una commedia e sarete sulla cattiva strada. Non è nemmeno un thriller o un action esistenziale a quattro ruote, cosa che l’avrebbe potuto avvicinare a Winding Refn (si ripensi a Drive).
Qui si parla di Edgar Wright e del suo mondo caleidoscopico, con la sua comicità visiva sempre distante dai dettami anglosassoni che vogliono un riso di parola e non di volti, montaggio o colori.
Si succedono musiche splendide e movimenti di macchina, montaggio visivo e sonoro, accostamenti che avvicinano il film più ad un’opera funky o ad un musical rock che ad un film d’azione.
Wright ha portato al massimo il suo senso del ritmo, del movimento, delle coreografie che avvolgono in ugual maniera la resa degli attori e delle location.
Ogni cosa nel film si muove per grazia di un’armonia, di un ronzio interiore che si manifesta a livello epidermico con una velocità d’immagini inaudita ed una sensazione dei movimenti sonori così forte da creare un perpetuo ascendente sulla storia stessa, come la madre di Baby, interpretata da Sky Ferreira che canta la canzone Easy o come Flea degli Red Hot Chili Peppers, nel ruolo di uno dei delinquenti.
L’America secondo Wright diventa un trionfo dei colori vividi, della violenza (non sanguinolenta ma giocosa), delle simmetrie, delle strade da percorrere, come se questo heist movie volesse diventare un road movie ma senza appagare le aspettative degli spettatori.
Nulla v’è di scontato in questo film, solo amore per lo sfogo pure e semplice dello stile, delle situazioni. Un film fatto sul serio ma che non si prende mai sul serio nemmeno negli intermezzi romantici, freschi come i frammenti di una fiaba contemporanea.
Se Rossini fosse nato oggi, avesse conosciuto l’America dei nostri giorni e fosse stato cineasta, avrebbe fatto questo film capolavoro di simpatia, innocenza, fantasia, incidenti stradali, ritmo e respiro. Uno di quei film che fanno dire: Io amo il cinema.
Che questa clip sia d’esempio:
Antonio Canzoniere