Azione e parola secondo Manzoni: il linguaggio mendace de “I Promessi Sposi”

Azione e parola secondo Manzoni

“L’uomo si conosce all’azioni”. Così si legge nel settimo capitolo de I Promessi Sposi, famosissimo romanzo storico che racconta le vicende di Renzo e Lucia sullo sfondo della dominazione spagnola in una Lombardia secentesca. Sono proprio queste vicende a chiarire la differenza tra azione e parola secondo Manzoni.

Nella sua opera più celebre, l’autore ci dimostra che le parole sono ingannevoli per natura e spesso risultano inefficaci. Il linguaggio verbale si rivela infatti insufficiente a rendere conto della realtà, oppure viene adoperato e strumentalizzato per mascherare il vero. Questo aspetto viene approfondito da Umberto Eco che, nel suo libro intitolato Tra menzogna e ironia, puntualizza: “di regola nel romanzo il linguaggio è portatore di vento, se non di menzogna”. Sempre Eco chiarisce che i discorsi de I Promessi Sposi  mentono o, comunque, non possono mai dire abbastanza; essi sono spesso confusi, artificiosi, ambigui e inconcludenti. Manzoni mostra diffidenza e imbarazzo nei confronti del segno verbale e più volte si scusa con il lettore di come vada raccontando. I suoi personaggi fanno lo stesso: o parlano con l’intenzione di adoperare la lingua per mentire, occultare, confondere, o si dolgono e si scusano per non essere in grado di riferire ciò che sanno.

Allora cos’è che non mente? Cos’è che garantisce una maggiore comprensione della realtà?

Azioni, gesti, espressioni del volto, posture, abiti, tratti fisionomici, toni della voce e in generale tutto ciò che rientra nel variegato universo della comunicazione non verbale, considerata più spontanea e istintiva.

Sono queste le modalità comunicative preferite dagli umili manzoniani, modalità che si oppongono agli sproloqui dei potenti e a quegli artifici verbali che Renzo definisce “birberie”. Anche l’azione, come la parola, può generare malintesi; tuttavia essa appare a quegli umili più comprensibile – e di conseguenza più attendibile – del linguaggio parlato e della sua sintassi logica. A tal proposito Umberto Eco spiega che “le trame delle sequenze linguistiche si possono infittire all’infinito, e in questa selva i semplici si perdono” ; proprio per questo essi diffidano del verbo.

Gli elementi paralinguistici e cinesici sono indispensabili alla narrazione e consentono l’evolversi della vicenda. È proprio tramite questi elementi che il lettore – come pure i personaggi della storia – comprende cosa stia davvero accadendo “sotto il velo del discorso”.

L’incontro di don Abbondio con i bravi costituisce un chiaro esempio di come i gesti “smascherino” le parole. Il prete riconosce subito gli scagnozzi di don Rodrigo dagli abiti, dall’aspetto e dal portamento; dai loro atti, si accorge che stanno aspettando proprio lui. L’incontro si svolge all’insegna dell’opposizione tra azione e parola: i bravi parlano, ma ciò che il curato capisce precede sempre il linguaggio verbale. I due antagonisti non dicono cose minacciose, eppure risultano minacciosi nei gesti e nei toni; anche loro sanno bene – come lo sa don Abbondio – che perfino il silenzio può dir più di mille frasi.

Con I Promessi Sposi  Alessandro Manzoni celebra il trionfo dell’azione e la disfatta della parola. Nelle pagine del romanzo, egli espone la propria concezione pessimistica del potere del linguaggio verbale evidenziando il suo carattere mendace e malizioso.

Annapaola Ursini

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