Il sistema autoritario della Cina sarebbe probabilmente insostenibile senza l’apporto di una strategia di autarchia digitale e del giovamento tratto dall’impenetrabile sorveglianza attraverso la rete che ne consegue. Un recente studio dell’Atlantic Council prevede che tra sei anni l’efficienza raggiunta dallo sviluppo tecnologico cinese potrebbe essere tale da indurre i paesi occidentali a adottare alcuni modelli di innovazione che in Cina costituiranno una vera e propria “architettura di sorveglianza nazionale”. Smart cities all’avanguardia e sistemi di finanziamento con verifiche sulle garanzie estremamente affidabili sono solo due dei possibili esempi. Il tutto al prezzo di un controllo capillare della popolazione. Sembra la trama di un film ambientato in un futuro distopico, ma l’autoritarismo tecnologico cinese dimostra di non porsi limiti in tal senso.
Certo lo studio è di parte, Atlantic Council è un “think tank” americano che cerca di promuovere la centralità della comunità atlantica nelle relazioni internazionali. Inoltre lo studio si basa sulla previsione che a far vacillare l’occidente sarà l’assenza di cooperazione tra le Nazioni. Ciononostante, è quantomeno verosimile che in un futuro non lontano i governi e gli stakeholders occidentali saranno posti di fronte a scelte complicate riguardo il bilanciamento tra etica e profitto, tra privacy ed efficienza. Dei primi segnali di cedimento verso alcuni modelli digitali cinesi a dire il vero iniziano già ad intravedersi.
Aggirare il controllo dell’autoritarismo tecnologico cinese è davvero impensabile?
Per rispondere a questa domanda basta far cenno al recente caso di Clubhouse. Si tratta di una sorta di forum in forma orale dal quale non resta alcuna traccia di ciò che viene detto. La piattaforma, sviluppata negli Stati Uniti, ha acquisito una notevole diffusione nelle ultime settimane ed è stata utilizzata da utenti cinesi per discutere di temi proibiti dal governo.
Ciò è stato possibile nonostante Clubhouse, così come Google o Facebook, non sia disponibile sullo store per applicazioni cinesi di Apple. Gli utenti cinesi, infatti, hanno potuto aggirare tale blocco scaricando l’applicazione dopo aver semplicemente cambiato il paese con cui accedevano all’App Store. A differenza degli altri social network occidentali Clubhouse non necessitava di una rete privata (VPN) per eludere il Grande Firewall cinese.
Per qualche giorno i cittadini cinesi hanno potuto discutere liberamente di temi come la persecuzione degli uiguri, i rapporti della Cina con Taiwan e le proteste per la democrazia a Hong Kong. Il governo cinese però già nel pomeriggio di lunedì ha bloccato il sito, arginando tempestivamente questa temporanea falla nel sistema di censura digitale. Ma non è tutto: pare che Clubhouse utilizzi un pacchetto di software sviluppato da Agora, un’azienda cinese. Ciò comporterebbe l’eventualità che il governo cinese possa chiedere ad Agora di conservare i dati degli utenti per questioni di sicurezza nazionale. Pratica che si sospetta possa essere già stata collaudata con altre piattaforme online.
Zuckerberg guarda a WeChat
Ma quali sono i primi segnali di cedimento verso i modelli digitali cinesi a cui si faceva precedentemente cenno? WeChat è forse uno degli emblemi più lampanti dell’autoritarismo tecnologico cinese. Whatsapp negli ultimi mesi ha tentato di emulare il suo funzionamento in alcuni paesi integrando un sistema di pagamento nella piattaforma. Zuckerberg sembrerebbe voler perseguire l’obiettivo di ricalcare il modello di business di WeChat unificando i sistemi di messaggistica ed inserendo una funzione di pagamento. Questa strutturazione permetterebbe di aumentare notevolmente i guadagni attraverso una trattenuta su ogni transazione da parte della piattaforma, che sarebbe anche meno dipendente dagli introiti pubblicitari. Ma WeChat è funzionale al governo cinese per le attività di censura e sorveglianza e una simile struttura centralizzata anche in occidente implica il rischio di zone d’ombra in termini di privacy degli utenti.
Un rating per il credito basato sulle attività degli utenti online
“Utilizzare i dati dalla cronologia di navigazione, ricerca e acquisto per creare un meccanismo più accurato nel determinare il rating di credito di un individuo o di un’azienda”.
Sembra una frase di un episodio di Black Mirror o una citazione di Xi Jinping. Sfortunatamente non è nessuna delle due cose. È un estratto dal sito del Fondo Monetario Internazionale, in cui i ricercatori discutono della possibilità di concepire controlli e garanzie per i prestiti anche attraverso il tracciamento delle attività online degli utenti. Lo spunto sembrerebbe essere stato preso proprio dall’autoritarismo tecnologico cinese. Il sistema di “credito sociale” in Cina, infatti, prevede una sorta di misurazione dell’affidabilità di un individuo sulla base di alcuni parametri (come l’adempimento degli obblighi di natura amministrativa, fiscale o penale) con la conseguente attribuzione di “punteggi” e l’istituzione di “black list” del credito.
L’esportazione di alcune delle logiche dell’autoritarismo tecnologico cinese è un rischio concreto o solo un’inquietante distopia?
Se negli ultimi tempi si discute del patentino vaccinale, Xi Jinping già lo scorso novembre durante il G20 proponeva un meccanismo globale “per facilitare il flusso ordinato di persone” basato sull’utilizzo dei codici QR per effettuare i viaggi internazionali. Diverse Ong hanno però segnalato la pericolosità di questo progetto. I codici QR, a loro avviso, potrebbero essere utilizzati per un ampio monitoraggio delle persone in transito da un paese all’altro. Ciò comporterebbe possibili ritorsioni in termini di discriminazioni.
La Cina è all’avanguardia nella produzione degli strumenti di sorveglianza, ed è la Nazione dalla quale i paesi occidentali si riforniscono maggiormente di questi prodotti. Una volta vendute le sue tecnologie il passo successivo è quello di cercare di stabilire degli standard condivisi. Acquisire le tecnologie dalla Cina potrebbe comportare il pericolo di mutuare anche le loro logiche di utilizzo? Il rischio che in un futuro prossimo i modelli di sviluppo tecnologico degenerino implicando anche modelli di controllo è soltanto una semplice distopia pessimistica?
Marco Giufrè