La decisione della corte ha accolto, in parte, i ricorsi delle quattro Regioni (Campania, Puglia, Sardegna, Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli. Sette disposizioni del testo sull’autonomia differenziata delle Regioni ordinarie sono state ritenute illegittimi e quindi sottoponibili a revisione.
I ricorsi presentati da Campania, Puglia, Sardegna e Toscana hanno portato la questione dell’autonomia differenziata alla Consulta, chiamata a pronunciarsi su questioni di costituzionalità legate al testo di legge. A questo proposito, i giudici della Corte costituzionale hanno definito “non fondata” la questione di costituzionalità, ma hanno ritenuto illegittime alcune disposizioni presenti all’interno della legge Calderoli sull’autonomia differenziata delle Regioni ordinarie. Tra le specifiche ritenute illegittime vi si trova quella che permette l’aggiornamento dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni) attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), quella che riguarda le Aliquote e quella riguardante il principio di sussidiarietà.
Cosa prevede la legge sull’autonomia differenziata
Il ddl sull’Autonomia differenziata delle Regioni ordinarie è una legge puramente procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001. Prevede l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione attraverso procedure legislative e amministrative definite in 11 articoli. L’articolo 116 prevede il trasferimento di funzioni e relative risorse alle regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta.
Le materie di riferimento sono le 20 materie che attualmente sono sotto la competenza condivisa di Stato e RSO (Regioni a statuto ordinario) e che quindi sono considerate “concorrenti”, più tre materie che attualmente sono sotto competenza unicamente dello Stato (giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, ambiente e beni culturali). Alcune di queste materie riguardano: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, commercio con l’estero, istruzione, protezione civile, energia.
Come si può notare, si tratta di materie estremamente delicate e generatrici di controversie sulle quali, attraverso il ddl Calderoli, le regioni avrebbero potestà legislativa. Una parentesi importante è quella dei Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni). I Lep vengono fissati dallo Stato per i “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. I Lep, dunque, sono importanti perché servono ad impedire che si creino disparità tra le Regioni e quindi devono assicurare parità di trattamento a tutte le Regioni.
Cosa ne è adesso del ddl Calderoli
La sentenza della Corte costituzionale ha bocciato parte del testo legislativo portando un rallentamento all’entrata in vigore dello stesso. Questo perché adesso il ddl torna in parlamento e sarà il parlamento stesso a dover apportare le modifiche necessarie affinché il ddl risulti legittimo in tutte le sue parti. Di conseguenza anche il referendum contro la legge vedrà uno slittamento o sarà addirittura annullato, dal momento che quest’ultima è cambiata.
Il ministro Calderoli, si è espresso durante un’intervista in merito a coloro che criticano ciò che è rimasto del testo legislativo definendolo uno “scheletro”. Il ministro ha risposto dicendo:
«Questa è una sciocchezza. La mia legge è fatta di 11 articoli e 45 commi, le Regioni di centrosinistra hanno contestato 43 dei 45 commi. La Consulta ha riscontrato 7 motivi su 60 di incostituzionalità che provvederemo a rimuovere. Risultato? L’impianto della legge ha retto. Io recepirò alla lettera tutti i rilievi. Dopo di che, non c’è più nulla da dire…».
In merito alla questione del referendum, Calderoli ha dichiarato:
«A me il referendum non fa paura, perché non ho mai creduto che fosse ammissibile. E non lo credo ancora più ora dopo l’intervento della Consulta. Non ritengo poi che possa raggiungere il quorum e quindi trasformarsi in un rischio per la nostra riforma».
Il progetto di revisione e riscrittura, dunque, non sarà breve: la previsione è che entro la fine del 2025 si possano concludere tali lavori. La soluzione definitiva è, dunque, ancora lontana, ma in fase di lavorazione bisognerà prestare particolare attenzione a tutti i cavilli se il governo Meloni vuole evitare un ulteriore stop dinanzi alla Corte costituzionale.