Augusto Pagani, medico di medicina generale e presidente provinciale dell’Ordine dei medici, è stato protagonista di un intervento piuttosto significativo.
Il rapporto tra medico e paziente si instaura a partire da uno stato di malattia ed è caratterizzato da specifici doveri e diritti, morali e giuridici. Questa relazione, fin dai tempi di Ippocrate, è stata contraddistinta da un’etica medica paternalistica; vale a dire, da una concezione etica che prescrive di agire o di omettere di agire per il bene di una persona, senza che sia necessario chiedere il suo assenso
Questo perché, di base, «si ritiene che il medico abbia la competenza tecnica necessaria per decidere in favore e per conto del paziente».
Il termine che maggiormente mi ha colpito, usato durante un’intervista, è stato “sottomissione”: il paziente, in passato, tendeva ad assumere questo atteggiamento, in quanto il medico rappresentava una vera e propria autorità.
Benché da questo punto di vista non sia cambiato molto – poiché l’argomento salute resta pur sempre delicato -, alcune cose sono invece mutate.
Quando prendiamo in considerazione la cosiddetta “autonomia del paziente”, non solo ci riferiamo ad una forma di autoconsapevolezza, ma anche di boriosità; difatti, non dimenticherà il lettore la gamma di informazioni a cui siamo sottoposti giornalmente, la quale influisce particolarmente sul tema della salute. La possibilità di svolgere una ricerca in rete, controllando così eventuali sintomi, è a portata di mano.
Ognuno di noi si sente in diritto di obiettare, comunque di difendere il proprio excursus fisico, la propria ricerca del benessere. Abitudini alimentari, luoghi comuni e qualche stereotipo sono un po’ all’ordine del giorno e non ci si può certo stupire. Il tema legato all’autonomia del paziente non riguarda solo una questione fisica, ma anche psicologica; la si potrebbe enunciare come “autoaffermazione”: la consapevolezza del proprio status psicofisico è legata al concetto di controllo; controllo sul proprio corpo, le proprie azioni, il potere di meritare una vita in piena salute.
Senonché, un tema come la “medicina narrativa” è certamente fondamentale: ascoltare un paziente non è cosa da poco; valorizzare la sua esperienza, comprendere il suo mood è un passo avanti verso un intervento regolare e sensato. La linea che separa l’etica di Ippocrate dall’esagerata autonomia dei pazienti è decisamente sottile.
Ad una prima previsione, sarei sul punto di considerare una sorta di parabola ascendente: un incremento esponenziale del timore; l’insicurezza del mondo in cui viviamo, i cambiamenti concernenti il nostro cibo e l’habitat che ci circonda. Sono questi i principali mordenti della contemporaneità, con tutto il peso morale che ne comporta. Da questo punto di vista, non sembra del tutto ambigua una crescente paura verso alcuni dettami medici – i vaccini sono l’esempio cardine.
Per quanto si voglia assumere la semplice teoria secondo cui l’informazione “salva la vita”, nulla ha a che fare con la paura del singolo; di rimando, l’esternazione e divulgazione di un’idea sbagliata, un consiglio precipitoso o un episodio ingigantito. Quel che è certo riguarda l’esempio morale che il medico dovrebbe garantire: benché non sia una misura di semplice veduta, resta l’unica roccia su cui un paziente possa aggrapparsi.
E sarà forse lo slancio concettuale necessario, atto a spronare ad una ricerca più accurata; che sia su internet o qualche vecchio tomo. L’importante, in ogni caso, è lasciare che ognuno eserciti la sua professione; a volte, anche l’umiltà può salvare la vita.
Eugenio Bianco