L’Australia è pronta a riconoscere lo Stato palestinese nel caso servisse a riportare la pace nella regione. Dichiarazioni che aumentano il pressing sul governo di Tel Aviv.
Australia pronta a riconoscere lo Stato palestinese
Il 9 aprile, durante una conferenza sulla sicurezza tenutasi nell’università nazionale australiana a Camberra, l’attuale ministra degli esteri, Penny Wong, ha dichiarato che l’Australia è pronta riconoscere lo Stato palestinese, con l’intento di raggiungere una pace duratura basata sulla formula dei due Stati.
Il riconoscimento australiano potrebbe arrivare anche senza attendere i lunghi negoziati tra le due parti in conflitto.
La Wong ribadisce un concetto molto chiaro: è nell’interesse di Tel Aviv rispettare le richieste internazionali.
Spagna e Irlanda spingono per il riconoscimento
Dall’inizio della guerra a Gaza, Spagna e Irlanda stanno guidando la fazione dei paesi molto critici riguardo l’operato di Tel Aviv, ribadendo l’importanza insita nel processo di riconoscimento.
Inoltre, Spagna, Irlanda, Slovenia e Malta hanno annunciato di essere pronti a riconoscere uno Stato palestinese, come unica soluzione per la pace nella regione.
Questo comunicato è arrivato dopo una riunione avvenuta a ridosso del consiglio europeo che, per la prima volta, ha chiesto apertamente il cessate il fuoco.
In qualsiasi caso, il riconoscimento avverrà quando apporterà un contributo positivo e quando le circostanze saranno giuste.
Questo passo avanti, per quanto importante, è solo un modo per mettersi in pari con altri paesi europei, tra cui Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Svezia e Cipro, che avevano già approvato questo diritto.
La soluzione a due Stati
La soluzione a due Stati è un accordo che prevede la spartizione dei territori della Palestina, per permettere l’esistenza di uno Stato ebraico, Israele, e uno Stato arabo, la Palestina.
Alla popolazione residente in Cisgiordania e nella striscia verrà attribuita la cittadinanza palestinese. Mentre, per quanto riguarda gli arabi in Israele, sarà data loro la possibilità di scegliere la propria cittadinanza.
La soluzione a due stati ha una lunga storia di contrasti, iniziati già dalla sua teorizzazione.
Durante la commissione Peel, riunita nel 1937, si teorizzò una ripartizione della Palestina, all’epoca dei fatti nelle mani britanniche, in tre sezioni: una araba, una ebrea e una sotto il controllo internazionale che contiene Gerusalemme.
Il primo ostacolo fu proprio la Gran Bretagna che, nel 1939, pose il veto sulla formazione di una nazione ebraica, auspicando la formazione di uno Stato palestinese basato sulla convivenza tra le due etnie.
Con gli eventi della seconda Guerra mondiale le ipotesi di uno Stato unico svanirono definitivamente.
Nel 1947 fu proposto il piano di spartizione dell’ONU, che riprendeva, a grandi linee, quello del 1937, ma in questo caso prevedeva la formazione di una economia basata sulla collaborazione tra i due paesi, portando benefici a entrambi.
In questo caso, a far naufragare la proposta, fu lo scoppio della guerra arabo-israeliana e la successiva guerra dei sei giorni, al termine della quale Israele occupò territori molto più ampi rispetto a quelli teorizzati nelle risoluzioni.
Nel 1976, una risoluzione del consiglio di sicurezza delle nazioni unite proponeva una suddivisione del territorio basata sui confini precedenti al 1967, cioè precedenti alla guerra dei sei giorni.
In questo caso fu l’America a porre il veto.
Un enorme sforzo diplomatico portò agli accordi di Oslo e al summit di Camp David. Accordi non ancora realizzati a causa della politica israeliana riguardo la colonizzazione dei territori della Cisgiordania.
L’ultimo tentativo di risoluzione risale al 2007 con la conferenza di Annapolis, in cui i maggiori partiti palestinesi, israeliani e americani concordarono sulla formazione di uno Stato palestinese come fondamenta su cui basare i negoziati per la cessazione del conflitto israelo-palestinese.
In questo caso, i problemi che impedirono l’attuazione di questa risoluzione riguardavano: lo Stato e in confini di Gerusalemme e del Monte del tempio, i confini dello Stato palestinese e degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e il ritorno dei profughi palestinesi.
Nonostante le continue pressioni internazionali, nessun governo israeliano si è pronunciato a favore di una piena sovranità dello Stato palestinese, condizione ritenuta, ovviamente, fondamentale per la realizzazione del suddetto Stato.