Aumenta l’insicurezza alimentare: l’allarme lanciato in un rapporto Oxfam

La fame potrebbe uccidere più del virus. Questa è l’estrema sintesi di un rapporto pubblicato da Oxfam secondo cui tra le più gravi conseguenze della pandemia c’è l’aumento considerevole dell’insicurezza alimentare, cioè del numero di persone a rischio di soffrire le cause di un’alimentazione inadeguata.

I numeri delle Nazioni Unite relativi al 2019 indicavano la presenza di 821 milioni di individui al mondo in stato di insicurezza alimentare. 149 milioni di questi si trovavano in condizioni di grave denutrizione.

Queste cifre, secondo il Programma alimentare mondiale (PAM) sono destinate ad aumentare, entro la fine del 2020, dell’82%. Ciò significa che tra le 6.000 e le 12.000 persone potrebbero morire giornalmente di fame.

Il problema si impone su scala globale.

È certo vero che le situazioni più gravi si registrano nei paesi in cui il problema dell’insicurezza alimentale era già ben presente e monitorato, ma nessuno Stato si è rivelato immune all’aumento del tasso di povertà e di fame. In Italia sono considerevolmente aumentate le richieste di aiuto alimentare. Persone che non avrebbero mai pensato di dover chiedere aiuto si sono ritrovate in fila alle mense o ai banchi alimentari.

Ma se in alcuni paesi, come in quelli europei, il problema rimane sotto controllo, in altre parti del mondo già precedentemente sull’orlo della crisi, l’incidenza della pandemia con le vecchie strutture di marcata disuguaglianza economica, ha fatto sì che la situazione precipitasse. Brasile, India e Sudafrica sono stati riconosciuti come nuovi “hotspot della fame”.

Emblematico è il caso del Brasile.

Nel 2014 il paese sembrava sulla buona strada per sconfiggere la piaga della fame. Il governo aveva promosso investimenti a favore dei piccoli produttori e istituito il Consiglio nazionale per la nutrizione e la sicurezza nazionale. La crisi del 2015 ha iniziato a porre un freno a queste misure, ma è nel 2019 che gli investimenti sono stati bloccati e la CONSEA smantellata. Il Covid ha assestato il colpo finale ad un’economia molto fragile.

I lavoratori più colpiti sono stati quelli con occupazioni precarie e prive di tutele, compresi coloro che operavano nel mondo della cultura e del turismo, pari al 41% degli impiegati brasiliani. Le misure adottate dal governo hanno favorito le grandi aziende e secondo la Banca Centrale brasiliana solo il 10% degli 8 miliardi di aiuti stanziati era arrivato a destinazione a fine giugno. Intanto l’esecutivo sta minacciando di ridurre i sussidi.



Le cause di questa situazione sono molteplici e ben analizzate nel rapporto Oxfam.

Prima tra tutte, ovviamente, c’è il fenomeno di massa di perdita del lavoro a seguito del lockdown. Le stime dell’organizzazione internazionale del lavoro parlano di una crisi dell’impiego stimabile nella perdita dell’equivalente di 305 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Il 61% dei lavoratori che sono stati colpiti dal fenomeno operavano nel settore “informale”, il che significa che le loro occupazioni non fornivano le garanzie come l’indennità di disoccupazione. Le donne costituiscono quasi la metà del totale di coloro che erano impiegati senza le adeguate tutele. L’altra fetta consistente è rappresentata dai giovani.

Va inoltre considerato che l’aumento della disoccupazione nei paesi più ricchi ha coinvolto in larga parte i lavoratori immigrati. Questo ha comportato una diminuzione considerevole dei flussi di rimesse, cioè di quel denaro che queste persone inviano alle famiglie nel proprio paese di origine. In tal senso l’economia delle famiglie dei paesi più poveri è stata doppiamente colpita dalla crisi dovuta al Covid-19.

Il secondo elemento da considerare come fattore determinante della crisi che ha portato all’aumento dell’insicurezza alimentare è identificabile nelle difficoltà che hanno investito i piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo.

Nelle parti del mondo più povere questa categoria, in larga parte formata da donne, costituisce l’ossatura del sistema alimentare. Chi lavora in questo settore, come si legge nel rapporto, “svolge un ruolo importante nella produzione di cibo e nell’offerta di lavoro, ma è tra i soggetti più vulnerabili alla fame”. Le giuste misure di contenimento del virus hanno comportato una forte limitazione della libertà di movimento e, spesso, hanno bloccato la semina, la raccolta e hanno impedito la vendita dei prodotti della terra. Le comunità pastorali, d’altra parte, non hanno potuto compiere l’abituale spostamento stagionale del bestiame.

Le difficoltà dei piccoli produttori sono aggravate dalle politiche delle aziende di vendita dei prodotti alimentari. I supermercati e gli altri venditori hanno potuto acquistare la merce alimentare ad un costo minore rispetto al passato, aumentandone al contempo il prezzo di vendita al consumatore. Il rapporto porta ad esempio il dato relativo agli Stati Uniti dove il prezzo al consumo è aumentato del 2,6% e il reddito degli agricoltori è diminuito.

Le misure di risposta al Covid, inoltre, hanno rallentato gli aiuti umanitari.

Il rapporto Oxfam, però, tiene a sottolineare un punto fondamentale: tutti i fattori che hanno contribuito all’attuale crisi sono da attribuirsi all’aggravarsi di iniquità già presenti in precedenza nel sistema.

La disuguaglianza è da sempre l’elemento caratterizzante il funzionamento del modello economico vigente che fa sì che coloro che producono il cibo che mangiamo, coloro che lavorano nei campi, nei pescherecci, nelle piantagioni da cui proviene il nostro sostentamento, non siano in grado di produrre e guadagnare a sufficienza per sfuggire alla fame.

Da anni, denuncia il rapporto, i governi non investono nell’economia rurale e non si preoccupano del fatto che i piccoli produttori lottano per la propria sopravvivenza con enormi conseguenze per la sicurezza alimentare dei paesi.

Alle storture di un sistema economico che ha generato una realtà in cui 2200 uomini posseggono più ricchezza di 4,6 miliardi di persone messe insieme, vanno poi aggiunte le conseguenze del cambiamento climatico che altera gli equilibri dei raccolti, aumenta il rischio di siccità o inondazioni e di invasioni di insetti.

È in questo scenario regolato da iniquità che il Covid si è innestato. L’epidemia ha aumentato la disuguaglianza perché ha colpito chi già viveva in condizioni precarie. Così l’accesso al cibo, per molte famiglie, è diventato problematico.

Per cercare di arginare il fenomeno l’Oxfam chiede ai governi di promuovere aiuti straordinari e immediati, di cogliere l’occasione per creare un sistema più equo che preveda una maggiore partecipazione decisionale delle donne. Nel rapporto si evidenzia anche la necessità di cancellare il debito dei paesi più poveri e di aderire all’appello ONU per il cessate il fuoco.

Silvia Andreozzi

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