Durante la scorsa settimana a Lampedusa, Roccella Ionica e Crotone sono tornati ad aumentare gli sbarchi di migranti partiti dai porti libici e tunisini. Le navi umanitarie si sono rese protagoniste di numerose operazioni di salvataggio, tra osteggiamenti e retorica allarmista.
Aumento degli sbarchi: la situazione e i numeri a Lampedusa, Roccella Ionica e Crotone
L’aumento delle persone sbarcate negli ultimi due giorni sulle coste meridionali italiane emerge dal Cruscotto giornaliero del Ministero degli Interni, dove quotidianamente vengono pubblicati i numeri delle persone arrivate negli hotspot in sud Italia. Già a inizio settembre si era registrato un lieve incremento degli arrivi, soprattutto a Lampedusa, ma, dopo giorni di totale calma a metà mese, gli arrivi maggiori si sono concentrati nell’arco di pochi giorni. Il 21 settembre, infatti, sono sbarcate 1112 persone, numero record considerando il drastico calo di sbarchi che si è verificato per tutto il 2024. Anche nei due giorni seguenti i numeri sono rimasti alti, con 420 e 620 persone arrivate.
Come sempre, il porto principale di approdo rimane quello di Lampedusa, che nella giornata del 21 settembre ha registrato 21 sbarchi per un totale di 788 persone, tutte partite da Libia e Tunisia. Seguono il porto di Roccella Ionica in Calabria e Crotone, dove spesso si verificano sbarchi dalla rotta mediterranea che collega l’Italia alla Turchia, caratterizzata da viaggi lunghissimi ed estremamente onerosi intrapresi spesso da persone provenienti da Afghanistan, Iran, Kurdistan e Siria.
Navi umanitarie: gli interventi salvifici degli ultimi giorni
Ancora una volta di fondamentale importanza si sono rivelati gli interventi salvifici delle numerose navi umanitarie che, nonostante i continui blocchi e le critiche dal governo, continuano a condurre operazioni di soccorso nei confronti delle imbarcazioni in difficoltà sulle rotte mediterranee.
«La situazione nel Mediterraneo Centrale è molto complessa. Continuiamo a registrare l’arrivo di barche di ferro e numerosi minori. Nonostante gli accordi con paesi come Libia e Tunisia, la presenza delle persone in mare non cambia ma esaspera le condizioni di partenza»
hanno denunciato dal veliero Astral dell’ONG OpenArms negli scorsi giorni. Proprio l’OpenArms si è resa protagonista di numerosi salvataggi nel Mediterraneo, traendo in salvo 413, 150 nel giro di 48 dopo essere salpata dal porto id Marsala martedì 17 settembre e altre 263 nella giornata di domenica. Tra i tratti in salvo numerosi sono donne e minori. Preoccupa il fatto che molti di questi salvataggi vengono operati nei confronti di imbarcazioni di ferro, tipologia di imbarcazione che sempre più spesso parte dai porti libici e tunisini.
Le operazioni delle navi umanitarie continuano ad operare in un clima loro ostile, con il governo italiano che cerca di osteggiare i soccorsi con blocchi amministrativi o assegnazioni per le operazioni di sbarco di porti distanti dal luogo dove avviene il soccorso. Tre giorni fa, ad esempio, al porto di Genova è attraccata la Geobarents con circa duecento persone a bordo, dopo essere stata assegnata al porto più lontano di tutti per lo sbarco, costringendo i migranti e l’equipaggio a bordo a 4 giorni in più di navigazione dal momento del salvataggio. Alla nave di Medici Senza Frontiere è la quarta volta durante l’estate che viene assegnato Genova come porto di sbarco.
Tutto questo avviene a pochi giorni di distanza da un altro avvenimento preoccupante che ha colpito una nave umanitaria: il 18 settembre, infatti, la Mare Jonio, nave per i soccorsi dell’ONG Mediterranea Saving Humans, è stata posta sotto fermo amministrativo.
«Siamo in stato di fermo e abbiamo un ordine, impartito dal ministero dei Trasporti, di sbarcare, immediatamente, i mezzi di soccorso, pena la perdita dell’idoneità di navigazione. Si chiama tecnicamente “ispezione occasionale”, al termine della quale è stato ordinato di sbarcare tutti i mezzi di soccorso che abbiamo a bordo»
aveva dichiarato Luca Casarini, capo missione di Mediterranea. Al fermo amministrativo è seguita un’ispezione, ancora una volta mirata a voler impedire a una nave umanitaria di salvare le persone in difficoltà nel Mediterraneo, che si è conclusa, dopo 10 ore, senza rilevare nessuna infrazione. A bordo, è stata registrata la mancanza di un megafono, mancanza che, nel contesto di quella che sembrerebbe una barzelletta se in gioco non ci fossero le vite di migliaia di persone, ha portato all’obbligo di sbarcare tutta l’attrezzatura di soccorso dalla nave umanitaria. Di fatto la conclusione è stata: potete navigare, ma senza salvare nessuno. Un’altra mossa ridicola e disumana voluta dai ministri Salvini e Piantedosi, l’ennesimo accanimento contro chi cerca di salvare vite nel Mediterraneo, dove ogni anno si registrano migliaia di morti e dispersi.
«Il ministro Salvini si metta il cuore in pace. Ci sarà sempre qualcuno che in mare risponderà alle richieste di aiuto. Non riuscirà a impedire che le persone vadano a soccorrere altri fratelli e sorelle che stanno affondando. Chi impedisce di salvare vite umane commette un reato».
Sbarchi e retorica allarmista
Ancora una volta emerge però un fatto, ovvero il ricorso a una retorica allarmista ed emergenziale quando si parla di migrazioni, da parte di politici e testate giornalistiche. Per quanto l’aumento degli sbarchi degli ultimi giorni abbia richiesto sicuramente una mobilitazione immediata, i numeri del 2024 rimangono enormemente inferiori rispetto a quelli del 2023. Solo ad agosto dello scorso anno, sulle coste italiane erano sbarcate 25.588 persone contro le 8101 di quest’anno, mentre a settembre nel 2023 più di una giornata aveva registrato numeri superiori alle mille persone sbarcate, con quasi 5000 sbarchi solo nella giornata del 12 settembre. Dal governo italiano e più in generali da vari governi europei, la questione migratoria è storicamente trattata con toni allarmisti ed emergenziali, toni che non rispecchiano la realtà dei fatti e che spesso servono a giustificare interventi drastici e politiche restrittive, che non risolvono il fenomeno migratorio, ma ne aggravano le conseguenze, ignorando la complessità e la natura strutturale della migrazione stessa. Salutare come un successo la riduzione degli sbarchi significa avere una visione miope della realtà, consapevoli di essere i diretti responsabili di una situazione drammatica, ignorando sistematicamente politiche di accoglienza su cui sarebbe realmente necessario un intervento capillare.
Il calo drastico di sbarchi durante il 2024 salutato come un successo dal governo di Giorgia Meloni è dovuto principalmente agli accordi bilaterali che sia l’Italia che l’Unione Europea da anni stringono con Paesi Terzi come la Tunisia, la Libia e la Turchia. Nel 2023, oltre la metà delle partenze totali per le coste italiane era avvenuto dalla Tunisia che aveva superato la Libia, negli ultimi anni protagonista per le partenze dei migranti per il Mediterraneo. L’Unione Europea ha deciso così di stringere accordi con il governo di Kaif Saied anche a causa dell’incremento di arrivi nel 2023: l’obiettivo di ridurre gli arrivi irregolari in Unione Europea è quindi centrale nell’accordo stretto con la Tunisia e si concretizza in una serie di finanziamenti al governo e alla guarda costiera tunisina, sulla scia di quelli precedentemente stretti tra UE e Turchia del 2016 e tra Italia e Libia nel 2017.
Ciò che però è fondamentale ricordare quotidianamente è che questa politica di esternalizzazione delle frontiere europea è complice delle migliaia di morti che si verificano nel Mediterraneo ogni anno e condanna tantissime persone a violenze e soprusi perpetuati nei Paesi terzi con cui l’UE stringe questi accordi. Come raccontato su Melting Pot «Le persone non hanno smesso di partire, semplicemente muoiono altrove». Ancora una volta l’Unione Europea si rende protagonista di una politica migratoria mortifera, rendendosi complice di tutte quelle violenze, stupri e deportazioni che le persone in movimento subiscono sulle rotte migratorie.