Hong Kong, condanne a 45 attivisti pro-democrazia fino a 10 anni di carcere

Condanne ad attivisti pro-democrazia Hong Kong

Il processo più grande mai celebrato a Hong Kong per violazioni della legge sulla sicurezza nazionale ha portato alla condanna di 45 attivisti pro-democrazia, con pene che raggiungono i dieci anni di carcere. Le sentenze, emesse il 19 novembre, sono state duramente criticate dalla comunità internazionale, che vede in queste condanne un chiaro segnale dell’intensificarsi della repressione politica di quella che un tempo era l’ex colonia britannica. Al centro della vicenda, le primarie non ufficiali organizzate nel 2020, considerate un atto di sovversione dal governo locale e da Pechino. Questo evento segna un punto di svolta nella progressiva erosione delle libertà civili di Hong Kong, sollevando nuove preoccupazioni sul futuro della città e dei suoi diritti democratici.

Il processo più grande sulla sicurezza nazionale

Il tribunale di Hong Kong ha emesso sentenze fino a dieci anni di carcere per 45 attivisti pro-democrazia, nel più vasto processo legato alla legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel 2020. Tra i condannati figura Benny Tai, ex professore universitario e figura di spicco del movimento democratico, che ha ricevuto la pena più severa. Gli imputati sono stati accusati di cospirazione per sovversione, a causa delle primarie non ufficiali organizzate nel luglio 2020, considerate dalle autorità un tentativo di destabilizzare il governo locale.

Le primarie del 2020 e la repressione successiva

Le primarie del 2020, organizzate per individuare i candidati più forti da presentare alle elezioni parlamentari, avevano raccolto la partecipazione di 600mila cittadini, ma furono bollate come sedizione dal governo. Le elezioni, inizialmente previste per settembre 2020, furono rinviate ufficialmente per la pandemia e, quando si svolsero nel 2021, la repressione aveva già eliminato ogni opposizione democratica.

Sentenze e proteste internazionali

Il tribunale ha inflitto condanne variabili tra i 4 e i 10 anni a tutti i principali organizzatori, tra cui politici e accademici, nonché attivisti pro-democrazia. Gordon Ng, cittadino australiano, è stato condannato a sette anni e tre mesi, provocando la dura reazione di Canberra. Anche gli Stati Uniti hanno criticato le sentenze, definendole una palese violazione delle libertà politiche garantite dalla Basic Law di Hong Kong.



Tra i principali attivisti pro-democrazia accusati c’è Benny Tai, definito da Pechino un “traditore crudele. Professore di legge, era già stato incarcerato nel 2014 per aver partecipato ad un movimento politico, degli “ombrelli”. La sua lotta era quella di costringere il governo cinese a dichiarare la piena autonomia del governo di Hong Kong.

Tra i repressi, c’è anche Claudia Mo, una delle legislativi democratiche di Hong Kong, nonché fondatrice del partito Civic. La sua condanna si è basata sulle conversazioni di Whatsapp che l’attivista per la democrazia aveva intrattenuto con dei media stranieri. La condanna alla 67enne è stata estesa a quattro anni e due mesi. 

Condanne sono arrivate anche nel mondo dei movimenti sindacali e dei partiti e, in particolare, contro la Confederazione dei Sindacati di Hong Kong e contro il partito LegCo. Tra gli assistenti e i membri, ci sono Eddie Chu Hoi-Dick e Carol Ng Man-yee, che, entrambi all’età di 50 anni circa, sono stati condannati a quattro anni e cinque mesi. Il primo è

La legge sulla sicurezza nazionale: un’arma contro il dissenso

Imposta nel 2020 per reprimere il movimento di protesta del 2019, la legge sulla sicurezza nazionale consente pene severe per accuse vaghe come sovversione e cospirazione. Gli attivisti hanno trascorso oltre mille giorni in custodia cautelare, con alcuni costretti a dichiararsi colpevoli per ottenere sconti di pena. Pechino e il governo locale giustificano queste misure come necessarie per ristabilire l’ordine, respingendo le critiche internazionali come interferenze inaccettabili.

La repressione e il futuro democratico di Hong Kong

Il processo agli attivisti pro-democrazia rappresenta un ulteriore passo nell’erosione delle libertà civili nell’ex colonia britannica, un tempo nota per il suo sistema giudiziario indipendente e la libertà di stampa. Le nuove leggi hanno radicalmente trasformato il panorama politico, riducendo a zero la possibilità di una vera opposizione. La comunità internazionale continua a esprimere preoccupazione, ma le autorità cinesi e filocinesi rimangono ferme nella loro posizione di controllo.

Una crisi costituzionale che ridisegna Hong Kong

Le sentenze di questo processo agli attivisti pro-democrazia segnano un momento cruciale nella storia recente di Hong Kong, evidenziando il completo controllo esercitato da Pechino sulla città e il suo sistema politico. La repressione delle voci democratiche solleva interrogativi sul futuro delle libertà nella regione e sulla possibilità di un ritorno a un sistema più equilibrato e rispettoso dei diritti civili.

Lucrezia Agliani

 

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