Mentre i movimenti ambientalisti sembrano avanzare, molti attivisti per l’ambiente hanno perso la vita lo scorso anno, uccisi dagli uomini che hanno cercato di combattere.
Il 2019 conosce un triste primato in ambito ambientale e l’America Latina detiene il record.
La situazione in Colombia
Il rapporto stilato dal Global Witness conta il preoccupante numero di 212 attivisti per l’ambiente uccisi durante lo scorso anno. In media hanno perso la vita, uccise, circa 4 persone a settimana e molte altre, di cui non si conosce il numero, sono vittime di minacce e ritorsioni che le costringono al silenzio.
Come accennato, il numero maggiore di omicidi si riscontra in America Latina e tra tutte la Colombia è la più colpita. La situazione colombiana, infatti, non è delle migliori: la morte del volontario ONU Mario Paciolla ha puntato nuovamente i riflettori sui tentativi di accordi di pace in questo Paese. La Colombia conosce da anni agitazioni interne, tra guerriglia delle Farc, governi che mancano di tutelare i diritti dei loro cittadini, e narcotraffico. A seguito dei cambiamenti relativi alle dinamiche di controllo di alcuni territori, dovuti all’abbandono da parte della Farc, sono nate nuove tensioni. A riempire questi vuoti, infatti, intervengono gruppi armati o paramilitari illegali contrari agli accordi di pace e alla riconversione delle colture.
La riconversione dei terreni
Uno degli accordi, richiesto a gran voce anche dalle Farc, prevede proprio la riconversione delle coltivazioni di cocaina in colture sostenibili e legali.
L’intento è quello di allontanare molti contadini da questo tipo di commercio e indebolire il narcotraffico che, in Colombia, costituisce una delle attività illegali più importati e conosciute al mondo. Molti agricoltori durante il boom della droga degli anni Ottanta, si sono piegati a questo tipo di mercato, cominciando a coltivare cocaina perché fonte di maggiore guadagno, non avendo altri mezzi di sussistenza.
Degli attivisti per l’ambiente uccisi, 14 di loro erano impegnati proprio nella riconversione dei terreni coltivabili. Nel mirino anche Francia Marquez, tra le attiviste più conosciute in Colombia, in lotta a favore dell’ambiente dall’età di 13 anni. A maggio dello scorso anno, lei e altri suoi compagni, sono stati oggetto di un attacco nella città di Lomitas, purtroppo non il primo.
Le Filippine
Con la Colombia, per numero di morti anche le Filippine dove la situazione è peggiorata a seguito dell’ascesa di Rodrigo Duterte. Il presidente, infatti, si mostra repressivo nei confronti degli attivisti per l’ambiente che protestano contro il settore minerario, una delle cause di maggior numero di morti.
Nelle Filippine il settore dei combustibili fossili opera indisturbato violando i fondamentali diritti umani.
Nel 2015 ha avuto inizio un’indagine a seguito di una petizione lanciata da alcuni cittadini che denunciano catastrofi climatiche, appoggiati da società come Greenpeace e South Asia. Sotto la lente d’ingrandimento le maggiori società di combustibili, come Eni, Shell, ExxonMobil, Total, Epsol e altre, per un totale di 47 società. Tra le accuse, quelle di negazionismo climatico e condotta ostruzionistica e di offuscamento internazionale; si richiede, poi, un risarcimento per la popolazione, vittima dei disastri ambientali e climatici causati dalle industrie. Questa sarebbe la prima indagine al mondo nel suo genere e potrebbe rappresentare un importante precedente nella lotta per i diritti ambientali.
“per la prima volta le grandi compagnie che inquinano vengono considerate responsabili per violazioni dei diritti umani, conseguenza dei cambiamenti climatici” (Greenpeace)
Il disboscamento
Un altro fronte che conosce lunghe battaglie, nonché vittime, è quello relativo al disboscamento. Molti, infatti, sono gli attivisti per l’ambiente che lottano in difesa delle foreste pluviali, distrutte da incendi e deforestazioni spesso illegali. Il disboscamento delle foreste è una piaga ormai annosa e conosciuta che viene praticata per i motivi più disparati: dalla necessità di nuove terre coltivabili, al fabbisogno di legname, unico combustibile a disposizione di molte persone.
Tra tutti si ricordano gli incendi della foresta Amazzonica, che non riguardano solo il 2019 ma che si verificano periodicamente e sono ancora in atto. Dietro questi fuochi non solo la siccità, ma anche le mani di grandi imprese zootecniche ed agro-alimentari, con il silente beneplacito del governo negazionista di Bolsonaro. Dopo la Nasa anche la Noaa, un’agenzia federale statunitense che si occupa di oceanografia, ha confermato la mano umana dietro i numerosi roghi nelle foreste assieme ad altre cause.
“una combinazione di siccità e attività umana collegate a un aumento della deforestazione e al cambiamento climatico innescato dall’uomo”
La lotta delle popolazioni indigene
Proprio lo scorso anno, di pari passo con le notizie degli incendi, correvano quelle degli attivisti dell’ambiente impegnati nella salvaguardia del polmone verde della terra. Molti di loro appartengono a popolazioni indigene che lottano da anni contro i governi per la tutela dei diritti di persone e terre. E proprio queste popolazioni sono tra le vittime più colpite della repressione silenziosa di chi ha in gioco interessi che non contemplano la tutela ambientale.
Il primo novembre scorso l’attivista 26enne Paulo Guajajara è stato assassinato da alcuni taglialegna che gli hanno teso un attacco nello stato di Maranhão. Il ragazzo faceva parte dei Guardiani della Foresta, un gruppo che si occupa di tutelare le foreste dal disboscamento illegale.
Ambiente e diritti umani
Si capisce facilmente che la lotta per l’ambiente è strettamente legata a quella per i diritti umani; non solo per le dinamiche interne ai vari territori, ma anche per quanto riguarda i flussi migratori mondiali. Si è più volte detto, infatti, come i cambiamenti climatici vanno a contribuire all’aumento di quanti, impossibilitati a vivere nella loro terra natia, cercano rifugio altrove.
Ambiente e diritti, dunque, si intersecano e si toccano e, purtroppo, lo stesso discorso riguarda le morti di chi combatte queste battaglie. Secondo l’agenzia Front line Defender, infatti, le uccisioni degli attivisti per l’ambiente sarebbero 304, un numero che comprende anche chi si trova in prima linea per la difesa dei diritti umani.
Bisogna tener presente che questi numeri sono solo quelli di cui si ha documentazione e che altri omicidi, impuniti, possono essersi verificati senza che si sia venuta a sapere la verità.
La questione ambientale, pur sembrando attuale e in auge, è in realtà un tema caldo già dagli anni Settanta. Da allora numerosi attivisti hanno preso parte ai tavoli della politica per proporre soluzioni che, però, si rimandano in favore di accordi economici dai benefici immediati. E in questo clima di continua ignavia c’è chi rischia la sua vita per difendere qualcosa che riguarda tutti noi senza, spesso, ricevere giustizia.
La fredda statistica, purtroppo, costringe alla spersonalizzazione, ma non dobbiamo dimenticare che questi numeri sono persone con un volto e un nome; con le loro storie, le loro famiglie e le lotte che hanno combatutto anche per noi.
Marianna Nusca