170 anni fa. La sera del 17 marzo 1846 debuttò al Teatro La Fenice di Venezia una delle opere liriche più intense di Giuseppe Verdi: Attila. Il sovrano degli Unni è un protagonista storico estremamente affascinante e non poteva non sedurre un compositore come Verdi. Il Teatro dell’Opera, tuttavia, non parla di generali, di guerre, di onore militare, ma parla di sentimenti, solamente appoggiandoli su uno sfondo, su un contesto storico. Il sentimento più caro a Verdi, quello che muove e che strazia Rigoletto, Traviata, Aida è sempre lo stesso, indomabile sentimento: l’amore. In ogni sua Opera l’amore è il fulcro attorno al quale orbitano tutti i personaggi e tutti gli altri sentimenti. L’uomo, in quanto tale, non è fatto solo di amore, ma nel suo sangue convivono diversi “umori”, forze differenti ed opposte. Pulsioni opposte, ma imparentate, come l’amore e il dolore ad esempio. Verdi e il suo Teatro indagano e raccontano queste pulsioni, ci raccontano l’Uomo in tutta la sua interna contraddizione e moltitudine.
Attila, infatti, prima di essere un atroce e sanguinario comandante barbarico, è un uomo come tanti e deve sentire l’amore vivergli dentro prima di poterci credere. I suoi fedeli soldati ammirano in lui il valore in battaglia e il coraggio: non possono sospettare che in lui dorma insepolto l’amore; Attila stesso ne ignora la presenza. Anche noi spettatori, avendo sentito il nome di Attila nei libri di Storia, saremmo portati a credere che fosse una persona senza sentimenti quali pietà e, appunto, amore. Verdi no: Verdi desidera mostrarci la potenza dell’Uomo, la forza della sua anima, persino là dove noi non la potremmo neanche immaginare.
V secolo d. C.: gli Unni hanno appena saccheggiato la città di Aquileia e trascinano davanti al loro re Attila le prigioniere italiche, tra cui Odabella, figlia del signore di Aquileia (ucciso in battaglia). Il suo fascino è il coraggio sprezzante del nemico: Odabella, incatenata, si avvicina al re dei barbari e gli grida negli occhi tutto il suo orgoglio e il suo odio. Attila è sedotto: “Bella è quell’ira, o vergine, nel scintillante sguardo; Attila, i prodi venera, abomina il codardo”. Qualcosa è cambiato nello sguardo di colui che tutti temono: qualcosa di così diverso dal dolore è entrato nei suoi occhi nel momento stesso in cui ha visto Odabella. La donna di Aquileia, però, è sposata con un cavaliere, Foresto e i due sono costretti, a causa dell’invasione dei barbari, a stare lontani. Odabella, tuttavia, decide di sfruttare la sua vicinanza e il suo influsso su Attila per vendicare il padre e il suo popolo: giura di uccidere il re barbaro con la spada che lui stesso le ha donato in segno di ammirazione.
Per l’intera durata dell’opera, come le anime dei lussuriosi di Dante, viene percosso da due tempeste: da una parte spira l’amore che il protagonista prova per Odabella; dall’altra, invece, ci investe la sete di vendetta di Odabella e quindi la morte di Attila. Sono la vita e la morte di Attila, quindi, l’amore e il dolore a fronteggiarsi sul campo aperto.
Questa battaglia, però, non si manifesta solamente fra i due personaggi, ma anche e soprattutto all’interno dell’anima di Attila, fra i suoi stessi sentimenti. E’ proprio qui che sorprendiamo l’umanità di Attila e, di conseguenza, di tutti noi: nel suo cuore combattono fino allo stremo l’amore per Odabella e la sua solitudine di guerriero, una battaglia fra la dolcezza appena scoperta e il destino di un re.
Ma nel dolore più acuto, nella guerra più sanguinosa, è sempre possibile, per gli uomini, percepire un suono sottilissimo e sublime, che diventa, se ascoltato, una musica vasta e sconfinata. L’amore, per entrare in noi stessi, penetra nel buio con un filo di luce tenue sotto la porta. Così, dalla notte e dal dolore, l’Uomo precipita nella luce, spalancando la propria porta alla nobiltà dell’anima.
Queste sono parole: per esprimere ciò che sento la musica è un dovere. In 3 minuti, il Preludio dell’Attila riesce ad esprimere con l’immediatezza e la semplicità della musica tutto ciò che vorrei ancora dire.
Sulle prime note regna la notte, il dolore di Attila, la sua guerra, la morte e la solitudine. Poi, dopo una battaglia tra strumenti musicali, dopo un violento temporale, come quando all’apice di una montagna osiamo guardare in basso, la vertigine ci investe con un vento intenso e dolcissimo, e ci sentiamo sgorgare in una melodia che scroscia d’amore verso valle. Attila, innamorandosi di Odabella, ha finalmente respirato, ha trovato un varco nella sua prigione di sofferenza. Così precipitiamo verso la luce, così siamo in fuga dal dolore, solo così siamo acqua verso valle.
https://www.youtube.com/watch?v=90FoFSnJots