Il Tempo dell’attesa non è Tempo perduto

John William Waterhouse, Penelope e i corteggiatori, 1912
J.W. Waterhouse, Penelope e i corteggiatori, 1912

Piove. Pioggia, sì. Quella che si stava attendendo, quella dalla cui venuta dipende il buon umore dei contadini, delle contadine, e dei poeti, delle poetesse. Si può pensare alla Terra, si può pensare ad una nuova Poesia. E arriveranno i frutti e arriveranno le parole. Tutto arriva, prima o poi. Sorprendendo, emozionando, tutto arriva. E dopo l’attesa, è giusto che sia così.

E quando dico “attesa”, penso alla Natura, penso all’Arte, penso all’Amore. E penso a loro: ad Ulisse, che parte, e a Penelope, che resta. 

Ulisse, che parte, mentre Penelope lo vede allontanarsi. Penelope: incarnazione del valore dell’attesa, della pazienza, della fedeltà: per un uomo, per un amore, per una speranza. Penelope ha imparato ad attendere, facendo dell’attesa motivo della sua esistenza. Ha imparato ad attendere, rendendo al proprio sogno una forma, tessendolo con la perseveranza di chi continua a sperare, nonostante gli eventi, nonostante i giorni e le notti che allontanano da colui che resta presente pur essendo assente.

Penelope ha aspettato, ha compiuto un’azione, non ha scelto di essere passiva, vittima di una Storia che non aveva scelto. Ha reso senso alla sua vita, al suo cuore e al suo corpo, attendendo colui che ne era l’esaltazione. Preparando il suo spirito all’arrivo del suo Uomo, affinché lui la riconoscesse.

Perché l’attesa lascia il segno. L’attesa strazia, stanca, sfianca. L’attesa è tensione, paura, rabbia. Chi attende, soprattutto chi sceglie di attendere, lo fa con la consapevolezza di dover dormire ancora una volta in un letto troppo grande, troppo vuoto, di dover continuare a sognare, ad immaginare per arricchire la sua tela, i suoi giorni, i suoi anni, di bellezza. Chi attende, lo fa col coraggio di una mente sacrificata al pensiero che affatica, che rende tutto più complicato.

Ulisse, questo, non lo sa. Ulisse non può capire la difficoltà del silenzio, l’impegno della perseveranza, la fatica dell’ immaginazione. Ulisse non può comprendere quanto il suo amore costi a Penelope. Chi parte, chi si allontana o chi non arriva, non sa che qualcuno vive attendendolo. Penelope è sempre, ovunque: perché ovunque, sempre la vita è attesa di qualcuno che si desidera, di una presenza che sfugge, che si prende gioco di uno spirito in trepidazione o vinto dalla rassegnazione.

Penelope insegna a tessere a chi sceglie di aspettare. Penelope veglia sugli occhi che non si addormentano davanti ad un’altra notte. Penelope suggerisce di scucire, di distruggere, di imprecare contro un altro sogno finito in frantumi.

E ricominciare, quando il nuovo sole riscalda i muscoli e si può riprendere a lavorare. A tessere un’altra illusione.

Davanti al Mare che sembra portare solo turbamenti e follie. Davanti ad un altro Tramonto, anche oggi vuoto. Sotto ad un Cielo che, piangendo, fa ridere chi aspettava la sua pioggia. E chi, stasera, potrà addormentarsi di un sonno sereno, appagato, ripagato della fatica dell’attesa.

 

Deborah Biasco

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