Aumentano giornalisti, reporter e attivisti accusati e detenuti per aver criticato la politica israeliana ed essersi opposti al genocidio in atto a Gaza.
Simpatizzanti terroristi o prigionieri politici?
L’attacco ai pro-palestinesi, che hanno deciso di esporsi pubblicamente criticando l’operato d’Israele con reportage, proteste e manifestazioni, si intensifica mentre la guerra in Medioriente si intensifica.
Ad oggi, a Gaza, secondo le ultime stime, sono 40.602 le vittime della guerra, tra cui circa 16.500 bambini. Inoltre, si contano più di 93.855 feriti e oltre 10.000 dispersi.
L’ONU parla di una “tragedia umanitaria mai vista nel XXI secolo“.
Tuttavia, in diversi casi — principalmente in Inghilterra — le autorità sono intervenute con accuse e arresti ai sensi del Terrorism Act, una legge che riguarda varie forme di terrorismo e di attività ad esso collegate.
Secondo ONG internazionali, tra cui Courage Foundation, “l’attacco ai discorsi e ai reportage pro-palestinesi è molto preoccupante“, e la libertà di espressione potrebbe essere gravemente deteriorarsi.
Richard Medhurst, giornalista arrestato: “Stiamo perdendo diritti in Occidente”
Richard Medhurst è un giornalista britannico indipendente, divenuto recentemente noto per le sue forti critiche al governo d’Israele. Figlio di due premi Nobel per la pace per il lavoro come forze della pace nell’ONU, si occupa di questioni internazionali, politica statunitense e situazione in Medioriente.
Lo scorso 15 agosto, all’aeroporto di Heathrow, a Londra, è stato arrestato da sei agenti che lo attendevano all’ingresso dell’aereo.
Secondo le autorità, il giornalista avrebbe violato la Sezione 12 del Terrorism Act. In particolare, Medhurst è stato accusato di aver “presumibilmente espresso un’opinione o una convinzione che sostiene un’organizzazione terroristica” (in questo caso, Hamas).
Accusa che può costare fino a 14 anni di carcere.
Mi hanno chiamato per nome e mi hanno detto di venire nella parte anteriore dell’aereo. Poi mi hanno fatto marciare via.
Mi hanno portato in una stanza a lato, e poi mi hanno detto che ero stato arrestato ai sensi della Sezione 12 del Terrorism Act del 2000. Ho detto che volevo contattare la mia famiglia, ma mi hanno detto che non mi era permesso. Hanno detto molto chiaramente che non mi è permesso parlare con nessuno.Era come se mi stessero trattando come un serial killer o qualcosa del genere, il che è pazzesco
Dopo l’arresto, il giornalista è stato trasferito in una cella, durante le quali la polizia ha requisito tutti i suoi device elettronici (i miei telefoni, un microfono a filo, un microfono wireless e un paio di cuffie wireless), i lacci delle scarpe e il suo zaino contenente varie attrezzature da lavoro.
Solo tredici ore dopo, due detective si sono presentati per l’interrogatorio.
Sei seduto in una cella di prigione, e hai vissuto tutta questa esperienza, e sei lì per tipo, un’ora, cinque ore, sei ore, 12 ore, e ancora non sai perché ti vogliono lì.
Non ti hanno interrogato, e tutti gli agenti che ti hanno arrestato dicono: ‘Non lo sappiamo’ o ‘Lo scoprirai più tardi’. Quindi mi sentivo come se fossi preso di mira politicamente, come se fossi trattato in modo diverso.La sensazione è che l’intero processo abbia lo scopo di intimidirti e farti sentire come se fossi schiacciato dallo stato, dal governo. Non ti è permesso dire nulla, devi stare zitto e accettare
Dopo l’interrogatorio, Medhurst è stato rilasciato. Ma ha deciso di denunciare pubblicamente quanto accaduto, mettendo in guardia dall’attacco ai pro-palestinesi.
Secondo lui, il motivo dell’arresto è “a causa dei miei reportage sulla Palestina. Ho la sensazione che quelli come me che parlano e riferiscono sulla situazione siano presi di mira“.
Di conseguenza, ha respinto le accuse fatte dalle forze dell’ordine e ha dichiarato di non essere coinvolto nel terrorismo.
Inoltre, il giornalista ha condiviso la sua preoccupazione riguardo il fatto che il suo arresto potrebbe fornire un precedente nelle azioni di attacco ai pro-palestinesi.
Credo di essere il primo giornalista ad essere arrestato in base a questa disposizione del Terrorism Act.
Stanno cercando di fare di me un esempio. Stanno cercando di renderlo accettabile e poi lo usano contro altre persone.
Temo che non si fermerà qui. Sento che continueranno a farlo e, mentre vediamo che questo genocidio a Gaza continua, stiamo perdendo anche i nostri diritti in Occidente allo stesso tempoDal momento che non ci sono abbastanza persone in Occidente che accusano i loro Paesi di sostenere Israele, i governi lo considerano “un assegno in bianco” per continuare qualunque cosa stiano facendo. Non solo, ma anche per schiacciare qualsiasi forma di critica, in modo che in futuro ci siano ancora meno persone che sono fuori di prigione o che fanno il loro lavoro per far luce su questi problemi
Ora, Richard Medhurst dovrà attendere tre mesi per sapere se sarà perseguito per le sue accuse.
Attacco ai pro-palestinesi: “Casi altamente politici”
Di nuovo ai sensi della Sezione 12 del Terrorism Act, il co-fondatore dell’organizzazione Palestine Action, Richard Barnard, è stato arrestato. Dovrà comparire di fronte alla corte di Westminster il prossimo 18 settembre per rispondere delle accuse di “aver espresso un’opinione a sostegno di un’organizzazione vietata” e “incoraggiamento o intenzione di incoraggiare danni criminali“.
In particolare, Barnard avrebbe incentivato i membri dell’organizzazione ad agire contro Elbit Systems, la più grande azienda di armi israeliana, con sedi in tutto il Regno Unito. Da sola, Elbit fornisce l’85% dei droni militari e delle attrezzature terrestri a Israele.
Il mese precedente, erano già stati arrestati dieci manifestanti di Palestine Action.
Lo scorso 21 agosto, cinque attivisti dell’organizzazione di Barnard — di età compresa tra i 23 e i 25 anni — sono stati arrestati per aver scalato l’edificio della fabbrica Thales a Glasgow, in Scozia, nel giugno del 2022.
Thales, una delle più grandi aziende produttrici di armi al mondo (tra cui veicoli corazzati, sistemi missilistici e droni), è stata presa di mira dai manifestanti per la sua collaborazione con Elbit Systems.
Lo sceriffo scozzese che ha arrestato gli attivisti, John McCormick, ha dichiarato che è stato effettivamente difficile condannare i cinque giovani manifestanti. In quanto apparivano come un gruppo di “giovani motivati a protestare“.
Tuttavia, l’obiettivo dell’attacco ai pro-palestinesi era “inviare un segnale che tali azioni illegali e sconsiderate attireranno pene detentive ove appropriato“.
Dunque, per tre degli attivisti, che hanno appeso degli striscioni al tetto della fabbrica, l’accusa è di “violazione della quiete pubblica“. Gli altri due, che hanno danneggiato alcune delle armi prodotte, dovranno rispondere anche di “malizia dolosa“.
In seguito all’arresto, un portavoce di Palestine Action ha dichiarato:
Imprigionare gli attivisti per aver agito contro il commercio di armi serve solo a proteggere le aziende che consentono il genocidio.
Tali sentenze spingeranno più persone a riconoscere la complicità scozzese con il genocidio in corso a Gaza e le motiveranno ad agire contro di esso. I colpevoli sono coloro che armano i massacri del popolo palestinese, non coloro che agiscono per fermarli.
Solo pochi giorni prima, il 16 agosto, l’alto diplomatico britannico, Mark Smith, si è dimesso dall’FCDO per la vendita di armi a Israele dopo anni di servizio.
E’ con tristezza che mi dimetto dopo una lunga carriera nel servizio diplomatico, tuttavia, non posso più svolgere le mie funzioni sapendo che questo Dipartimento può essere complice di crimini di guerra
Anche in Germania attacco ai pro-palestinesi: lo slogan illegale
All’Inghilterra, che deve fare i conti con la detenzione di ben sedici attivisti legati al movimento propal, si è affiancata la Germania, con l’arresto di altri attivisti.
Il 15 agosto, la 23enne Daria M., attivista palestinese, è comparsa per la prima volta in tribunale con l’accusa di “circolazione di simboli di organizzazioni incostituzionali e terroristiche“.
In particolare, durante una manifestazione dello scorso 9 marzo, Daria aveva intonato lo slogan che rappresenta il movimento per la liberazione della Palestina: “From the river to the sea, Palestine will be free” (Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera).
Per aver cantato lo stesso slogan, altri due attivisti sono stati precedentemente arrestati. Tra questi, Ava Moayeri, cittadina tedesco-iraniana arrestata pochi giorni dopo il 7 ottobre.
Secondo l’accusa, il canto rappresentava la volontà di “condonare l’assalto di Hamas“. Inoltre, lo slogan sarebbe anche una “negazione del diritto allo Stato di Israele di esistere“.
Per questi motivi, al termine dello scorso anno, il ministro dell’Interno tedesco Nancy Faeser ha dichiarato lo slogan illegale e punibile con una pena detentiva fino a tre anni. Anche se, il più delle volte, la pena consiste in una multa.
L’udienza di Daria è stata rimandata all’11 novembre prossimo, ma il caso ha già sollevato polemiche.
Secondo Nadija Samour, un avvocato del Centro europeo di supporto legale e rappresentante di Daria, si tratta di un caso politico.
Questo è un attacco alla libertà di espressione e alla libertà di riunione. Si tratta di un caso altamente politico.
Il tribunale potrebbe cercare di inoltrare il caso a un tribunale superiore imponendo una sanzione pecuniaria a Daria in questo primo grado. Faremo sicuramente appello e ci aspettiamo di vincere in un tribunale più alto
All’uscita dell’attivista dal tribunale, in molti si sono radunati per recitare le slogan in segno di solidarietà.
In merito a quanto accaduto, Daria ha accusato un’azione di criminalizzazione e attacco ai pro-palestinesi.
La polizia sta usando le accuse di reato piuttosto gravi per giustificare la violenza brutale contro i manifestanti.
Negli ultimi mesi, decine di persone sono state picchiate fino allo stato di incoscienza durante la repressione della polizia e hanno dovuto essere ricoverate in ospedale con gravi ferite.Alcuni hanno subito perquisizioni nelle loro case solo per aver detto: ‘Dal fiume al mare’.
La criminalizzazione dello slogan è chiaramente un tentativo di generare consenso per la persecuzione del movimento di solidarietà con la Palestina e, in ultima analisi, per il genocidio in Palestina
Nel frattempo, sono ancora molti i giornalisti e gli attivisti che si oppongono alla narrazione pro-israeliana.
Tra cui, lo stesso Richard Medhurst. Il quale afferma che il suo lavoro consiste proprio nel “fornire un contrappeso ai media mainstream”