Attacchi turchi in Rojava: un progetto politico che resiste nella Siria del Nord

attacchi turchi in Rojava e confederazione democratica

Nella “settimana santa” del 25 dicembre, è stata avviata da Erdogan una campagna di bombardamenti massicci nei territori del Rojava, la fetta di terra del Kurdistan occidentale. Secondo i dati, gli attacchi turchi in Rojava sono stati di almeno 40 raid nelle ultime 72, in riferimento ai giorni del 25 e 26 dicembre scorsi. Tra gli obiettivi civili e i villaggi della Siria del nord, sono state colpite alcune aree simbolo della resistenza curda alla violenza turca e islamica, come la città di Kobane. Molte sono le proteste dei membri dell’amministrazione Autonoma della Siria del Nord – o Rojava – contro la violenza gratuita e punitiva del governo turco, sostenuto dal blocco europeo e americano. 

Gli attacchi turchi in Rojava hanno l’obiettivo di annientare la popolazione

La compagna di bombardamenti di queste ultime ore ha colpito la maggior parte delle infrastrutture presenti nel Kurdistan siriano, villaggi e abitazioni e checkpoint, come quello di Seran ed Helencê, vicino Kobane. L’obiettivo degli attacchi turchi in Rojava è quello di annientare ogni forma politica di resistenza ed eliminare la speranza del progetto di confederalismo democratico. L’esercito di Ankara infatti sta colpendo tutte quelle infrastrutture che possano garantire, seppur ai limiti della dignità umana, un sostentamento alla popolazione.

Questa è la strategia di annientamento di Erdogan: rendere invivibile il Rojava e costringere l’intera popolazione ad abbandonare il sogno democratico in uno Stato fallito. Dai video e dalle foto che, seppur a stento, sono state condivise in rete, si può vedere chiaramente che le bombe hanno colpito ospedali, industrie, sale da ballo e fattorie: il tutto proprio per spaventare la popolazione e rendere il posto sempre più pericoloso e invivibile. In queste ore, gli abitanti dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord – AANES – sono privi di acqua, cibo ed elettricità: vivono in una condizione di prigionia a cielo aperto. Gli attacchi durante la settimana natalizia non sono casuali. La strategia di Erdogan è quella di colpire un periodo di festa santa e sacra alla comunità cristiana, che costituisce una fetta della popolazione curda. 

Un altro obiettivo, questa volta più politico che civico, è quello delle industrie petrolifere. La Siria, come gran parte degli stati del Medio Oriente, sono degli importanti hub petroliferi e di risorse energetiche. La Turchia, da ormai molto tempo, sta effettuando politiche di restringimento delle risorse che il Rojava può sfruttare e offrire al mercato internazionale. Il Rojava gode infatti solo del mercato dell’oro nero, unica fonte di PIL che possa mantenere in piedi l’Autonomia. 

Un’operazione punitiva

Gli attacchi turchi in Rojava sono quindi privi – o assai poveri –  di qualsiasi significato politico e geostrategico. Piuttosto, l’esercito turco ha attuato un piano di strategia militare incentrato sulla punizione di determinati comportamenti dei curdi. In particolare, questi raid sono la risposta ad attacchi che le milizie di resistenza del Rojava hanno portato avanti nella regione montuosa del Basur contro l’esercito turco. Da quegli scontri, sembra che ci siano state molte perdite a danni turchi. Dopo gli scontri nel Kurdistan iracheno, la risposta di Erdogan è stata quella di bombardare l’Amministrazione. 

Oltre all’episodio del Basur, la Turchia vuole punire la forte e motivata resistenza attiva che i curdi stanno attuando, specialmente in Rojava. La resistenza attiva è la risposta che i curdi ripropongono in ogni occasione, proprio perchè il progetto del confederalismo democratico è molto sentito. La condanna che Erdogan pone in capo a tutti i civili curdi deriva quindi non solo dalla colpa di resistere attivamente, ma anche dalla colpa di estendere il progetto politico e rafforzarlo nel corso degli anni. Gli attacchi turchi in Rojava di questa settimana hanno infatti preso il via dopo la pubblicazione del contratto sociale e la nuova riformulazione di comitati e di governo.

Come anche dichiarato da Foza Yûsif, uno dei membri del consiglio del partito dell’Unione Democratica (PYD), il Rojava deve essere abbastanza forte da resistere attivamente agli ennesimi attacchi turchi. Questa fetta di mondo è in grande pericolo, in quanto dimenticata da ogni forza governativa e da ogni altra legge internazionale. La condizione del Rojava non è stata menzionata neanche dai mass media occidentali, se non come attacchi e provocazioni del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, dichiarato illegale dal governo di Erdogan. 

Il contratto sociale del 2023: una politica che resiste alle bombe

La comunità della Siria del Nord-Est sta portando avanti un processo di rinnovamento politico e sociale, grazie alla riformulazione del contratto sociale del 2014. Il nuovo contratto è stato rinnovato e pubblicato lo scorso 12 dicembre nelle tre lingue ufficiali del Rojava: l’arabo, il curdo e il siriaco. Rispetto alla precedente versione, quella del 2014, ci sono stati molti emendamenti. La popolazione e i cantoni sono cambiati: infatti prima esistevano solo i tre cantoni di Afrin, Kobane e Jazira, le storiche regioni che sono state protagoniste della lotta armata per la liberazione del Kurdistan. Le tre zone sono state le promotrici del progetto politico del confederalismo democratico, teoria politica sviluppata da Abdullah Ocalan, lo stesso fondatore del PKK. Gli attacchi turchi in Rojava, in aggiunta a quelli dello Stato islamico, non hanno mai fermato la costruzione di una società basata sui principi di democrazia diretta e rappresentativa.



Dopo il 2014 la situazione cambiò radicalmente però, perché le forze democratiche siriane liberarono molti dei territori occupati dall’ISIS, accogliendo altri quattro cantoni. Le aree liberate avevano però differenti usi e costumi, lingue e religioni, poiché erano a maggioranza araba. Ad oggi infatti, il progetto non è propriamente più quello del Rojava, ma di una più generale Amministrazione autonoma della Siria del Nord-est, che abbraccia tutte le diverse etnie e culture che vivono in quei territori. È stato infatti creato un comitato di governo misto, composto da 158 persone, proprio per garantire una rappresentanza mista. Ad oggi, l’area dell’AANES è quindi composta da sette regioni – non più cantoni. 

Le speranze de una pace tra popoli e i principi generali del nuovo contratto

L’incipit del nuovo contratto sociale del 2023 nasce sotto il segno della pace tra popoli e del principio di autodeterminazione, unione nelle lotte, una vita dignitosa e senza razzismo, discriminazioni o emarginazione sociale. La nuova struttura del contratto prevede che si basi su tre punti fondamentali: l’ecologia, la liberazione delle donne e la democrazia diretta. Sono stati realizzati dei cambiamenti ai comitati, ora più ampi e con più grande rappresentanza. Il contratto conta 132 articoli in cui si analizzano tutti gli aspetti della società, dal punto di vista politico e sociale.

Un altro importante emendamento è quello dell’inclusione nei confronti dei popoli di minoranza etnica: la comunità assira-siriaca vive in Kurdistan e sta lentamente scomparendo, così come quella ezida, vittima del genocidio nel 2014.

L’obiettivo fondamentale del contratto sociale è quello di pace nel nome del benessere collettivo della popolazione. I curdi non si pongono in antitesi verso la Siria. Infatti, nella carta non si parla di secessione o indipendentismo, ma solamente di autonomia, proprio con la speranza di un futuro riavvicinamento allo Stato siriano. Si sottolinea però ogni forma di distaccamento e antagonismo verso il governo criminale di Assad. 

La resistenza agli attacchi turchi in Rojava è quindi non sol militare e fisica, ma sopratutto politica e intellettuale. Il Kurdistan e l’intera sua comunità condanna le operazioni di minacce e violenze sistemiche di Erdogan, appoggiato dagli interessi internazionali con Israele. Di ciò i curdi sono a conoscenza, e sanno bene che la condizione palestinese è simile alla loro. Il progetto di pace e di democrazia però vive ancora nelle menti e nei cuori di tutti coloro che lottano per una libertà che gli è stata privata. 

Lucrezia Agliani

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