Il fatto che l’atrofia muscolare da microgravità sia il più grosso problema di salute (insieme alla osteoporosi) sperimentato dagli astronauti nelle lunghe permanenze nello spazio è ormai abbastanza conosciuto. Gli studi non mancano e abbiamo già imparato che l’esercizio fisico può aiutare a contrastarle.
La novità nello studio condotto da scienziati giapponesi dell’Università di Tsukuba sta nel fatto che per la prima volta si è usato come gruppo di controllo non uno basato a Terra ma dei topi che sono stati imbarcati sulla ISS (per 35 giorni) come quelli del gruppo su cui si volevano misurare gli effetti, ma in un ambiente che forniva una gravità simulata di 1G.
La ricerca è stata pubblicata su Nature.
Pare abbastanza intuibile perché questo sia importante, usando un gruppo di controllo basato a Terra nel verificare gli effetti provocati sulla salute dei “topi astronauti” bisognava valutare quali potessero essere non frutto della permanenza in microgravità ma di eventi impattanti come le radiazioni, l’ambiente microbico, lo shock delle fasi di decollo e rientro.
In questo esperimento invece i topi del gruppo di controllo hanno sperimentato le identiche condizioni degli altri, tranne la microgravità.
Ho citato le radiazioni, ne approfitto per una piccola precisazione leggermente fuori argomento, quando ho scritto che gli effetti della microgravità sono i più impattanti sulla salute degli astronauti mi riferivo a quelli della ISS che in parte godono ancora della protezione della Terra visto che non si trovano nello spazio interplanetario ma a “soli” 400 km di altezza, non mi sfugge la pericolosità delle radiazioni per lunghi viaggi nello spazio profondo.
Come è stata creata la gravità artificiale? Se avete visto qualche film di fantascienza con stazioni spaziali e astronavi con sezioni ad anello che ruotano e avete pensato a quelle ci avete preso, i topo del gruppo di controllo erano ospitati in gabbie rotanti che tramite la forza centrifuga simulavano la forza di gravità. I topi maschi sono stati perfino isolati in gabbie singole per evitare che eventuali risse potessero introdurre elementi accidentali non uniformi.
Risultato? La gravità artificiale ha prevenuto la perdita di massa muscolare. Ma il punto non era quello, lo studio non era per capire se la gravità artificiale funziona, il punto era capire davvero i meccanismi biologici che stanno dietro l’atrofia muscolare da microgravità. I risultati ci sono stati, in particolare per una scoperta riguardo l’espressione genica. La gravità artificiale infatti ha prevenuto non solo i cambiamenti nella massa muscolare e nella composizione della fibra muscolare, ma anche i cambiamenti nell’espressione genica (il processo attraverso cui l’informazione contenuta in un gene viene convertita in una macromolecola). Questo ha portato i ricercatori, che hanno lavorato sotto la supervisione dell’autore anziano il professor Satoru Takahashi, a ipotizzare che un gene chiamato Cacng1 abbia un ruolo nell’atrofia dei miotubi (cellule del tessuto muscolare che hanno quel nome a causa della forma cilindrica).
Capire come l’atrofia muscolare da microgravità funziona a livello cellulare e di espressione genica avrebbe certamente ricadute nella comprensione di come l’atrofia muscolare funziona in chi la sperimenta perché immobilizzato a letto.
Roberto Todini