È la mattina di Natale e finalmente Harry arriva a Roma, al presidio di Baobab Experience. Harry, giovane originario del Darfur, era a bordo della Asso 29, nave che riportò in Libia più di 260 migranti intercettati nel Mediterraneo il 2 luglio 2018 violando leggi internazionali e diritti umani.
La Asso 29, una violazione delle leggi internazionali e dei diritti umani
È il 2 luglio 2018. Harry si trova su un gommone carico di persone che, dopo essere partito dalla Libia, si dirige verso l’Italia. Ma l’imbarcazione, in una storia drammatica che si ripete ogni giorno da anni nelle acque del Mediterraneo, dopo i primi segni di cedimento, inizia ad affondare. Una persona a bordo riesce a contattare la guardia costiera italiana che però, invece di intervenire, contatta la motovedetta libica Zuwara (fornita dall’Italia alla uarda costiera libica). Ovviamente i “soccorsi” arrivano troppo tardi: solo 18 i superstiti, tra cui Harry. La Zuwarah intercetta un’altra imbarcazione in difficoltà con circa 150 migranti a bordo: uomini, donne, bambini vengono condotte sulla motovedetta libica. Ma le persone a bordo della Zuwarah, poco più di 260 in totale, sono troppe per affrontare le condizioni metereologiche proibitive. E qui entra in gioco la Asso 29, mercantile privato il cui comandante riceve ordine dalle autorità italiane di soccorrere la Zuwarah. La Asso 29, coordinata dalla nave militare italiana Duilio, riconduce le 260 persone a bordo nell’incubo libico.
Le persone respinte, tra cui Harry, all’arrivo in Libia, vengono forzatamente trasferite in centri come Tarik Al Sikka, Zintan, Tarik Al Matar, Gharyan, centri noti per le condizioni di vita disumane e i trattamenti brutali cui sono soggetti i migranti rinchiusi.
L’illegalità dei respingimenti: il caso dell’Asso 29 e la Libia Paese non sicuro
Il 2 luglio 2018 le cose non sarebbero però dovute andare così. E non lo dice solo il senso di umanità, ma anche le leggi e le dichiarazioni internazionali. La prima sentenza sulla vicenda arriva, grazie all’instancabile lavoro di Asgi, lo scorso giugno, anche in seguito all’azione legale che nel 2021 cinque persone, tra cui un bambino che aveva due anni all’epoca dei fatti e una donna allora incinta all’ottavo mese, avevano avviato per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa della condotta delle autorità italiane e del capitano della nave.
La sentenza ha dichiarato che l’Asso 29 avrebbe dovuto «condurre i migranti in Italia, non in Libia». Riportando le persone a bordo in Libia, infatti, le ha esposte «a torture, detenzione illegale, violenze di ogni genere e, in alcuni casi, alla morte».
La Libia, infatti, non è un Paese sicuro.
Alla base di tale costatazione vi è una direttiva del Consiglio europeo del primo dicembre 2005 recante le norme minime per le procedure applicate agli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Qui viene detto che uno Stato terzo (in questo caso la Libia) può ritenersi sicuro solo nel momento in cui disponga di una procedura di asilo, abbia aderito alla convenzione di Ginevra, alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e soprattutto applichi capillarmente le disposizioni delle due Convenzioni. L’adesione alle convenzioni non è infatti sufficiente per ritenere uno Stato “sicuro”: in un altro testo, una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 21 dicembre 2012, viene sostenuto che per definire uno Stato tale ci debba essere la “presunzione assoluta” che le disposizioni vengano rispettate. Per far crollare qualsiasi tipo di obiezione basta ricordare che la Libia non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 e che quindi a priori non dovrebbe essere considerata un “porto sicuro”, andando a rendere illegali tutte le operazioni di deportazione sulle sue coste e le collaborazioni tra l’Italia, membro dell’UE e firmatario di tutto le convenzioni finora elencate, e la Libia.
Le azioni della Asso 29 sono state quindi illegali e grazie alla alla sentenza che ha ritenuto Stato, capitano e armatore dell’Asso 29 colpevoli per il respingimento collettivo in Libia, Harry, questo Natale, è finalmente riuscito ad arrivare in Italia su un volo di linea che dalla Libia lo ha portato a Roma.
Le reazioni delle associazioni all’arrivo di Harry
Ad attenderlo a Roma c’era il presidio di Baobab Experience che ieri, con un post Facebook e Instagram pubblicato in condivisione con Asgi, ha così scritto sui social:
«Harry è arrivato la mattina di Natale a Baobab Experience. È arrivato in Italia come dovrebbero arrivare tuttə i richiedenti asilo: nel modo in cui ci spostiamo noi e voi, con un aereo di linea».
Sei anni dopo il giorno che ha riportato Harry in un incubo, il giovane originario del Darfur, Sudan, è arrivato in Italia. L’inizio di un nuovo capitolo per Harry, una vittoria per lui e per tutti coloro che lottano per la libertà di movimento. Vittoria che però arriva con sei anni di ritardo perché su quell’aereo Harry ci sarebbe dovuto salire a luglio 2018.
Se la vicenda di Harry si è infatti risolta con un lieto fine, non è comunque accettabile che tale lieto fine sia arrivato dopo così tanto tempo e solo per alcune persone. E non è soprattutto accettabile che storie come quelle di Harry e azioni come quella che ha visto protagonista l’Asso 29, e quindi anche le autorità italiane, avvengano quotidianamente nel Mar Mediterraneo, sulle coste italiane e su quelle libiche. Respingimenti illegali e gravissime violazioni dei diritti umani si verificano infatti ogni giorno sulle porte d’Europa. Le politiche di esternalizzazione si giocano sulla pelle di uomini, donne e bambini che cercano di raggiungere il territorio europeo attraverso rotte migratorie durante le quali sono soggetti a violenze, detenzioni e abusi di ogni tipo. La complicità e gli accordi stretti dall’Unione Europea con Stati terzi sono cause dirette delle sofferenze che tutte le persone in movimento sono costrette a passare. Spesso condannandole alla morte. Gioendo per la storia di Harry diventa necessario, dopo un 2024 che ha visto migliaia di morti e dispersi nelle acque del Mediterraneo, non accettare più politiche europee che condannano ogni anno alla morte e alla sofferenza migliaia di persone che tentano di arrivare in Europa attraverso viaggi resi illegali da quelle stesse violente politiche.