“L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente ma opera.”
(Antonio Gramsci)
Dal 6 al 9 giugno i cittadini europei saranno chiamati a votare per il rinnovo dei componenti del parlamento europeo. Ognuna delle 27 nazioni, secondo un sistema proporzionale, eleggerà rispettivamente quelli che saranno i propri rappresentanti in Europa. Le elezioni europee avvengono ogni cinque anni e si tratta dell’unica assemblea transnazionale al mondo eletta direttamente dai cittadini aventi diritto. Un appuntamento di profonda rilevanza storica e sociale, nonché occasione di partecipazione attiva al costituirsi del mondo e della società che abitiamo.
In Italia per le elezioni europee si andrà ai seggi sabato 8 e domenica 9 giugno. Ma, in quanti si andrà? E soprattutto, con quanta, e quale consapevolezza?
Secondo il recente studio di Fondazione Censis (“Lo stato dell’unione. Geografia sociale dell’Europa al voto”) in cui viene analizzato l’andamento dell’astensionismo in Italia, gli individui che, per una serie di concause, non partecipano alle elezioni con il proprio voto risultano in costante aumento. Infatti, dal 1979 al 2022 il tasso di astensionismo è passato dal 9,4% al 36,1% per le politiche, mentre dal 14,3% al 45,5% per le europee.
Inoltre, nel medesimo studio è espressa un’elaborazione dei dati dell’eurobarometro aggiornata al 2023 che rileva per l’Italia una insufficiente fiducia nelle istituzioni europee; più in dettaglio del 49% relativa al parlamento, e del 46% per la commissione europea, percentuale in linea, in verità, con la media europea.
Ci balzano in fronte, e alla coscienza, dati quantomeno preoccupanti. Poiché, se a giugno andrà a votare per il rinnovo del Parlamento europeo soltanto la metà circa degli elettori, e se a questa ipotesi si aggiunge che meno della metà dei cittadini europei ripone fiducia nelle istituzioni comunitarie, a emergere è una minaccia per gli stessi ingranaggi di funzionamento delle democrazie liberali.
Il rischio reale, dunque, è quello di giungere al termine delle prossime europee con un parlamento eletto da una esigua manciata di cittadini, pertanto non con i rappresentanti di una nazione ma con i rappresentanti di quella piccola fetta di paese che, per le motivazioni più diverse, ha avvertito l’esigenza e il dovere civico di partecipare.
In questo modo, però, “I destini di un’epoca” – ci avverte Antonio Gramsci da un non così lontano 1917 – “sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi”.
Antonio Gramsci e attualità
Antonio Gramsci è stato uno dei pochi intellettuali che, a causa di una malformazione fisica, si è tenuto lontano dal fronte, acquisendo in questo modo la possibilità di osservare minuziosamente i mutamenti della società. Grazie alla puntuale capacità di coglierne i meccanismi, tra il 1917 e 1918, ha riportato su carta accurate riflessioni riguardo il paese Italia, mettendo in risalto e problematizzando ogni ambito sociale e culturale, partendo dalla burocrazia, passando per la lingua e giungendo alla politica.
Negli scritti di Gramsci si distingue un’accusa molto forte e, come egli stesso definirebbe, “intransigente”. Una frase che, nella sua asprezza, colpisce: “Odio gli indifferenti. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. L’indifferenza è il peso morto della storia”. Egli si riferisce a tutti quegli individui “estranei alla città” che non agiscono per il bene comune o che non parteggiano per le proprie idee, ricordando loro di avere un peso e una responsabilità nella storia alla pari di coloro che parteggiano e agiscono.
Come nel quadro storico da cui muove la sua critica, anche nella nostra attualità emergono contraddizioni e malesseri che si diramano per l’interezza della società. Molte e intricate sono le dinamiche che contribuiscono alla costante e comprensibile crescita della sfiducia nelle istituzioni. Tuttavia, la riflessione gramsciana spinge i lettori della sua opera a osservare come tali complessità non debbano essere motivo di assenteismo, e che nel nostro caso, più precisamente, non possano giustificare l’astensionismo.
Fino a che non saranno utilizzati dai cittadini tutti gli strumenti in dotazione, tutti quei dispositivi possibili – tra i quali il diritto di voto – che, con fatica, nel corso della storia, sono stati acquisiti da chi ci ha preceduti, non ci si potrà permettere di assumere un atteggiamento di arrendevolezza utilizzando come capro espiatorio le ingiustizie e il malfunzionamento del sistema e delle istituzioni. Sicché la prima falla si trova proprio nella mancata partecipazione politica.
E dunque odiamole le ingiustizie, ma odiamoci, anche, per non aver operato affinché queste potessero essere limate; odiamolo lo stato delle cose, ma nutriamoci di quell’ardore affinché questo ci conduca ad agire per migliorarle. Perché la storia si somma di tutto ciò che avviene in un dato lasso di tempo, ma anche di tutte quelle cose che non avvengono.
Perché anche il non agire, il silenzio, l’indifferenza assumono un irrimediabile peso sulle sorti della storia: Il non prendere una posizione ha la medesima forza di una salda scelta. Prima ancora di Gramsci era stato Dante a condannare duramente l’ignavia, e ora dobbiamo essere noi attraverso gli strumenti che ci pone in uso la democrazia a prendere le distanze da un atteggiamento di assenteismo, non con una dura condanna ma attraverso una convinta partecipazione.
Assenteismo e partecipazione politica in Italia
Diversi e approfonditi sono gli studi di cui disponiamo per avere una panoramica della situazione attuale. Tra questi, a risaltare è un report dell’ISTAT da cui si individua una crescita della distanza dei cittadini dalla vita politica. Lo studio, pubblicato nel 2019, esamina l’andamento della partecipazione politica dei cittadini dai 14 anni in su, e riporta che tra il 2014 e il 2019, la porzione di persone che non partecipa alla vita politica passa dal 18,9% al 23,2%.
La partecipazione politica si presenta come un fenomeno multidimensionale: sono molteplici, infatti, i livelli su cui essa si svolge, possano essere questi istituzionali o meno, visibili e invisibili. La partecipazione politica si verifica in modo soprattutto indiretto, ovvero attraverso l’informazione e la discussione (74,8%) e poco per via attiva, cioè partecipando a cortei e comizi (8,0%).
Soffermandosi sui dati concernenti la partecipazione indiretta possiamo osservare che solo il Il 52,7% si informa di politica almeno una volta a settimana, e ad allarmare è che il 35,5% non ne parla mai e il 27,6% non si informa. Di questi ultimi il 64,9% non sceglie di informarsi a causa di disinteresse. Ma, come ci spiega Gramsci, “chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare” poiché “l’indifferenza è il peso morto della storia”.
Prima l’informarsi, e in seguito la discussione e il confronto sono passaggi insostituibili e necessari per arricchire le possibilità di crescita dell’individuo e della comunità.
Tuttavia, mediante i dati sopra esposti si può presumere che una porzione importante di elettori giunge al momento delle elezioni con una insufficiente dose di conoscenze e competenze che sarebbero utili alla costruzione di un giudizio critico adeguato per operare una scelta responsabile; altri invece riposano nel totale assenteismo. Si tratta di un grave atteggiamento che rischia di porre un insidioso ostacolo alla democrazia.
Pertanto, in virtù della tutela di un corretto funzionamento delle democrazie, occorre che i cittadini prendano parte alla vita politica e sociale del proprio paese in modo attivo, informato e consapevole.
Un monito gramsciano
Ma perché partecipare alla vita politica? Perché, risponderebbe Gramsci, “l’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera […] è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico può generare non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti.”
Perché “ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare”.
Partecipare alle elezioni europee 2024, i motivi
Il parlamento europeo non ha potere di iniziativa legislativa ma ha quello di discutere, modificare e approvare le proposte di legge effettuate dalla commissione europea. La proposta, per essere approvata, deve ricevere consenso sia dal parlamento europeo sia dal consiglio dell’unione europea. Quello di giugno, dunque, sarà un appuntamento significativo utile a incastrare e limare i mattoncini di un futuro che i cittadini, assumendosi una responsabilità storica e sociale, hanno il potere di scegliere; e questo potere, che è un diritto e anche un dovere civico, si chiama voto.
Le elezioni europee si dimostrano un considerevole strumento di tutela dei diritti acquisiti e potenziali. Al parlamento europeo, infatti, si discuteranno provvedimenti che riguardano l’intera comunità di persone, si parlerà -tra le altre- di leggi sull’aborto, interventismo in Ucraina, postura nei confronti del conflitto Palestina-Israele, politiche economiche, politiche migratorie.
Per questo motivo, è importante informarsi, leggere, ascoltare le dichiarazioni e i dibattiti, giungere al giorno delle europee con una solida coscienza critica, e se non con una scelta ben definita, quantomeno con la lucida consapevolezza di quali dei candidati non si vorrebbe in alcun modo come rappresentante dei propri valori in Europa. Per salvaguardare il valore intrinseco e il senso stesso di democrazia bisogna attraversare la fatica di informarsi e partecipare.
Alessandra Familari