L’assegno di divorzio ha avuto negli anni varie evoluzioni, ma le più incisive sono avvenute negli ultimi tre anni.
L’assegno di divorzio era uno strumento per garantire il tenore di vita avuto durante il matrimonio, concezione spazzata via dalla sentenza 11504/2017. A strumento per permettere al coniuge l’autosufficienza economica. Fino a giungere alla teoria della compensazione dei sacrifici fatti e al contributo dato durante l’unione.
La riforma sull’assegno di divorzio, approvata in Commissione Giustizia e presentata dal PD, è divenuta indispensabile dopo gli sconvolgimenti della giurisprudenza.
Evoluzioni avute grazie alle sentenze della Cassazione 11504/2017 e 18287/2018. Una rivoluzione di logica e buon senso che mette termine ad anni di sentenze contraddittorie, dibattiti dottrinali e giuridici, e ingiustizie varie sulla natura dell’assegno di divorzio.
Ma cosa prevede?
L’assegno divorzile, nella comune conoscenza, consiste nell’obbligo di uno dei coniugi di versare periodicamente all’altro coniuge una somma di denaro quando quest’ultimo non ha i mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
Questo è quanto sinteticamente e comunemente viene inteso per assegno divorzile.
L’originaria proposta di riforma tendeva ancora ad equilibrare la disparità tra i coniugi che si produce per effetto dello scioglimento del vincolo. Questa finalità però è stata stravolta e si è giunti a una proposta di legge totalmente innovativa.
La novità fondamentale di questa proposta di legge:
è il superamento del criterio del tenore di vita nel calcolo della quantità dell’assegno di divorzio.
Seguendo i principi dettati dalla Cassazione e allineandosi alle evoluzioni socio economiche della società moderna. Il giudice nell’assegnare l’assegno divorzile dovrà effettuare valutazioni molto ampie (e con molta discrezionalità). Durata del matrimonio; età dei coniugi; patrimonio personale; sacrifici fatti durante l’unione; opportunità lavorative perse o rinunciate; condizione degli eventuali minori; possibilità lavorative e formazione professionale; capacità di creare reddito.
Indicatori concorrenti contenuti già nell’art. 5 c. 6 della l. n. 898 del 1970, ma mai interpretati secondo logica dal legislatore. Poi aggiunti a insegnamenti della giurisprudenza, con innovazioni legislative e sociali. Troppi fattori che anche se giusti e corretti non vengono disciplinati in profondità. Rischiando in questo modo di concedere troppa discrezione ai Giudici.
Un’altra novità fondamentale è che l’assegno di divorzio non sarà per sempre.
Si interromperà per esempio in caso di convivenza, anche non more uxorio. Si interromperà in caso di unioni civili o nuove nozze, ovviamente. Principi comunque già applicati. Sarà il giudice a valutare la durata dell’assegno, considerando fattori come la disoccupazione, la possibilità di trovare lavoro, la prossimità della pensione.
Il testo ovviamente sarà valido solo per i divorzi avvenuti successivamente alla data di pubblicazione, non toccando quelli già in corso di causa.
Per quanto riforma sicuramente necessaria, sarà uno sconvolgimento ulteriore che rischia di confondere una materia delicatissima. La Cassazione negli ultimi anni ha provato a portare chiarezza e unanimità, limitando la discrezionalità dei giudici. Il nuovo testo di legge, per quanto giusto nella finalità, dovrà tenere in mente gli insegnamenti dei Giudici del Palazzaccio e cercare di limitare la discrezionalità dei giudici. In caso contrario si rischierà che casi simili saranno trattati in modo differente a seconda del giudice chiamato a decidere.
Leandro Grasso