Aveva 30 anni ed era stanca di vivere, stanca della malattia che lacerava il suo corpo e la sua anima. Ashley G., una donna del New Jersey, aveva chiesto di morire. La sua richiesta è stata esaudita lunedì scorso.
Ashley soffriva di anoressia e bulimia da molti anni. Si era rivolta ad un tribunale, chiedendo di non essere sottoposta ad alimentazione forzata. In principio, la procura del New Jersey aveva rifiutato la sua richiesta. La donna era stata giudicata all’unanimità incapace di intendere e volere.
Tre mesi fa, la svolta: il giudice Paul Armstrong ha accolto la richiesta di Ashley. Una richiesta a suo dire “schietta, reattiva, intelligente, volontaria, salda e credibile”. A quel punto, anche i medici ed i genitori della donna erano d’accordo.
I disturbi alimentari sono circondati da una miriade di luoghi comuni. Molti pensano che essi non siano altro che l’espressione dell’egoismo di ragazzine viziate ed egocentriche. Questi preconcetti sono stati alimentati soprattutto dalla nascita dei siti pro ana e pro mia.
I disturbi alimentari non sono il desiderio di entrare in una 40. Non sono la voglia di dimagrire per piacere ai ragazzi. Non sono niente di tutto ciò. Sono silenzio, rabbia, impotenza, dolore nascosto da sorrisi. Non esistono foto di Ashley sul Web: lei non voleva farsi pubblicità. Voleva morire e basta, perché non ce la faceva più.
Molti saranno indignati, soprattutto i più conservatori. Si riempiranno la bocca di frasi fatte, come “la vita è un bene prezioso, chi siamo noi per sputarci sopra?”
Quella di Ashley non era vita, però. Era una sofferenza che si protraeva da anni, a cui la donna ha deciso di porre fine.
Al di là delle opinioni contrastanti, Ashley soffriva, e anche molto. Si sentiva con le spalle al muro, non vedeva una via d’uscita. Non siamo nessuno per giudicare il suo desiderio di farla finita. Ne aveva abbastanza, e ha deciso di morire. Di liberarsi dalla morsa della malattia che la teneva prigioniera da troppi anni.
Veronica Suaria