ArTorin è il progetto che fa uscire le opere d’arte dai musei rendendole vive, vicine e contemporanee.
Il nome dell’artista è Michele Galli. O almeno, è quello che vuole farci credere. Da mesi stanno spopolando su Facebook e su Instagram le sue opere, frutto di un minuzioso lavoro di osservazione e di studio. Raffigura le più celebri opere d’arte ambientate nel back-ground torinese. Le raffigura in mezzo a noi, in mezzo alle nostre azioni quotidiane, in mezzo a contesti comuni che la provincia piemontese, a volte, dà quasi per scontati. Le raffigura umane, vive, contemporanee. Quale messaggio vorrà trasmetterci l’artista? Quali retroscena ci sono dietro la creazione delle sue opere? Curiosi e affascinati dal suo nuovo progetto ArTorin, lo abbiamo intervistato.
Presentati in poche righe. Chi è Michele Galli, ideatore e autore del progetto ArTorin?
“Michele Galli non esiste. O meglio, non in carne ed ossa. Sicuramente in giro per il mondo ci sarà almeno un Michele Galli vivo e vegeto, ma non si tratta di questo Michele Galli. Non esiste perché è frutto della rete e del dilagare dei social network. E’ questo il bello (e il brutto) del web. Possiamo far nascere persone che in realtà non esistono, certi che, una volta procreate, queste diventano “vere e proprie”. E Michele Galli cavalca proprio quest’onda. Nascosto da un’identità fittizia posso così operare con assoluta libertà, toccando con tranquillità anche le tematiche più spinose senza compromettere la mia carriera principale, alimentando fino la quarta dimensione dell’arte: il mistero.”
Quando e in che contesto nasce il progetto ArTorin?
“ArTorin nasce circa un anno fa, nel febbraio del 2018, da un’intuizione. Ero alla ricerca di un mezzo immediato e dirompente, capace di far denuncia in modo intelligente ed elegante, senza cadere nella banalità di certe illustrazioni, farcite di stereotipi, che affollano la rete. Un giorno scopro, per caso, le opere di Marianna Boiano, che col suo Cartoorin riusciva a fondere il mondo dell’animazione con la realtà quotidiana. Ecco allora l’intuizione. Avrei fatto un lavoro simile, riportando in vita i personaggi della storia dell’arte e facendoli uscire dai musei.“
Da dove trai ispirazione per la realizzazione di nuove opere e di che strumenti ti servi per dar forma al progetto?
“Ogni nuova opera nasce in seguito ad una profonda ricerca legata sia al piano formale, sia a quello concettuale del dipinto, proprio per sfruttare al meglio la potenza delle figure rappresentate. In genere seguo due strade diverse per creare queste opere. Ho riempito il desktop del mio PC con immagini di futuri dipinti da modificare. Ogni giorno passo in rassegna l’intera carrellata di immagini sì da stimolare la mia mente a creare una combinazione con uno scenario potenzialmente adatto. Se ricevo la scintilla giusta, allora parto alla ricerca dell’ambiente base, che verrà “costruito” e si adatterà alla prospettiva del dipinto originale.
Altrimenti, quando non ricevo la famosa scintilla, passeggio semplicemente per Torino alla ricerca di qualche scorcio interessante da fotografare. Fotografo tutto. A casa poi controllo il materiale raccolto e cerco di fondere le figure. Una volta trovate le materie prime si parte col lavoro vero e proprio, che consiste unicamente in un taglia, incolla, regola luci e ombre su Adobe Photoshop. Tutto qui.”
Qual è il messaggio vuoi trasmettere a chi si imbatte nelle tue opere?
“ArTorin ha tre livelli di lettura. Il primo livello del messaggio che voglio lanciare é prettamente di denuncia sociale. ArTorin propone infatti una serie di critiche, più o meno evidenti, verso una società estremamente individualista e apatica, che con ipocrisia si lamenta di tutto e non fa nulla per cambiare la situazione. Dunque, attraverso un linguaggio POP che cavalca i social media, vado a far luce sulle problematiche del nostro periodo storico (che nella maggior parte dei casi, sono le stesse del passato).
Nel secondo livello evidenzio, come scritto anche nella descrizione della pagina, che l’arte non è morta. Siamo convinti che l’arte sia roba da museo. Da vedere, studiare (in Italia troppo poco) e soprattutto osservare. Ma pur sempre “roba da museo” rimane. L’arte non è roba da museo. La pala d’altare dipinta dal Masaccio, un tempo, era l’unica immagine che le persone potessero vedere. Non esistevano tutte le immagini che popolano e bombardano la nostra realtà quotidiana. Loro avevano solo le opere degli artisti. E su quella pala d’altare pregavano! O ancora, più vicino a noi, Picasso con Guernica. Noi andiamo al museo e ammiriamo il suo capolavoro. Bene. Ma veramente abbiamo capito e interiorizzato il dramma che l’artista voleva mostrarci con quei corpi smembrati e scomposti, da lui dipinti? La storia è ciclica, lo sappiamo, e l’arte, che sempre storia è, continua a riproporsi e ripresentarsi a noi. Questo é il messaggio. L’arte è SEMPRE STATA CONTEMPORANEA (come vuole Maurizio Nannucci, con la sua insegna al neon sull’archeologico di Berlino).
Nel terzo livello si muove invece una ricerca dal punto di vista delle nuove tecnologie e di come i social media stiano modificando il nostro modo di comunicare e approcciare. Di come le informazioni siano “eterne” e, al tempo stesso, non durino che una frazione di secondo. Quanto basta per aggiornare la schermata social e beneficiare di una cascata di nuovi contenuti. Nell’era del social, nulla è fermo, stabile, “eterno” come un dipinto da museo, ma viene trascinato dallo stesso fiume che con quotidiana frenesia trascina tutti noi.“
Ilaria Genovese