Su Instagram si pubblicano foto di paesaggi spettacolari, di outfit per serate, feste e tutto ciò che è degno di essere pubblicato, quindi soprattutto l’arte! I social sono un trampolino di lancio per molti artisti contemporanei che possono condividere le loro opere direttamente nella community virtuale.
Se decidi di intraprendere la carriera d’artista ti verrà certamente consigliato di iscriverti ad Instagram, oppure di farti una pagina su Facebook. Di conseguenza, l’artista che magari è sociopatico e preferisce passare le sue giornate nel suo atelier, si ritrova a dover gestire da zero un suo spazio sociale con un seguito iniziale pari ai suoi cinque amici.
Tecnologia vs artisti
Molti artisti contemporanei non hanno neanche cellulari all’avanguardia poiché preferiscono i loro vecchi dispositivi. A quanti di voi è successo di rompere uno smartphone e di ripescare da qualche cassetto un vecchio telefono dove si possono solo utilizzare chiamate e messaggi? Vi sarete sicuramente resi conto della pace mentale riconquistata con questi ultimi. Effettivamente un cellulare di ultima generazione ti permette di essere connesso con gli altri, oltre che di cercare informazioni, ma a che costo? Al compromesso di essere sempre reperibile e di sentirsi spesso obbligati a rispondere a tutti quelli che ci cercano. Questa continua interattività può disturbare il nostro status mentale, soprattutto se non si lascia lo spazio alla mente di stimolare la propria fervida creatività.
Quando i social diventano dipendenza e divorano la creatività
Questo problema riguarda soprattutto gli artisti contemporanei che sono costretti a passare alle nuove tecnologie. Dopodiché per capire come comportarsi, devono seguire qualche grande artista che sa già usare il canale social. Il problema è che nessuno ti segue se non rendi la tua pagina interessante e per far questo ti ci devi dedicare sinceramente. Il tuo seguito vuole vederti all’opera ed essere aggiornato su ogni tua nuova creazione.
I social ti danno modo di postare i tuoi lavori con gli hashtag e ti permettono infatti di essere visualizzato da chiunque cerchi la particolare tematica. Così coloro che non riscuotono nessun successo iniziano ad adattarsi alle richieste del mercato, potremmo dire “svenendosi” e perdendo di originalità.
Spesso la pubblicazione sui social diventa una vera e propria dipendenza che procura un appagamento istantaneo. Gli artisti spoilerano i loro lavori in tempo reale, ma siamo sicuri che il social non divori loro creatività?
Non è l’artista a creare la tendenza ma la tendenza a creare l’artista
Sono pochi gli artisti contemporanei che riescono a non svendersi, purtroppo molti finiscono a disegnare pony su DeviantArt per assicurarsi un seguito. Adesso ditemi, cosa ne pensate di professionisti che disegnano pony colorati per attirare un seguito?
Molti raggiungono la celebrità grazie ai social perché capiscono quali sono le tendenze che hanno successo oppure in certi casi le loro opere piacciono così tanto da riscuotere un immediato successo! Molti altri però sono tagliati fuori da questa prospettiva e rischiano di diventare dei Van Gogh disadattati e senza soldi! O magari come Modigliani che per la sua innata ribellione propensa a non adattarsi alle richieste degli altri non guadagnava mai denaro.
Siamo un prodotto da vendere
Instagram dà la possibilità agli artisti contemporanei di essere i manager e produttori di sé stessi ma è anche vero che non tutti sono capaci di esserlo. Ovviamente questo non vale solo per loro perché qualsiasi persona ha la possibilità di vendere le proprie competenze, qualsiasi esse siano!
Il like è un modo per raccogliere l’opinione del consumatore perché diciamola tutta: siamo consumatori. Facciamo parte della società dei consumi ma siamo anche i prodotti di questa società del consumo.
Il sociologo Zygmunt Bauman nel testo Consumo, dunque sono ci propone tre innegabili esempi che ci dimostrano la nostra entità di prodotto:
caso 1- Siamo dipendenti dei social network, luoghi in cui si scambiano le informazioni personali, dove invii informazioni ben precise e fotografie. Pensiamo sia una libera scelta, poiché non viviamo in una dittatura, ma in certi paesi è diventata l’unica alternativa per socializzare. Insomma esibiamo tutto nel palcoscenico digitale: curiamo il nostro aspetto nei minimi particolari, ci diamo un nome e possiamo anche guadagnare con le nostre esibizioni. Bauman cita Eugène Enriquez, il quale pensa che in questo modo mostriamo la nostra nudità fisica, psichica e sociale ma io aggiungerei anche spirituale.
Viviamo in una società confessionale dove la gente gioca al Grande Fratello Show!
caso 2- Molte compagnie telefoniche registrano i numeri telefonici provenienti dalle chiamate e li suddividono in base al tipo di consumatori. Se si tratta di un cliente che investe denaro risponderà un operatore esperto, mentre se si tratta di un cliente base risponderà un operatore di basso livello. Anche qui è solo di una questione organizzativa e gerarchica necessaria alle aziende per la loro sopravvivenza, ma è un’altra conferma che siamo un prodotto.
caso 3- La Gran Bretagna ha un sistema di immigrazione per attirare i più brillanti e i migliori. Ovvero coloro che investirebbero più denaro o che hanno maggiori capacità di guadagno.
Se in Italia sbarcassero immigrati statunitensi in cerca di lavoro è probabile che nessuno li farebbe morire in mare, mentre quando sbarcano nord africani o mediorientali in abiti lacerati dalla guerra, non si tratta più di un buon investimento.
E’ una questione di sopravvivenza
Artisti contemporanei o no, viviamo in un mondo dove l’immagine diventa il biglietto da visita per sopravvivere, siamo costretti ad adattarci e accettare di implementare le nostre potenzialità sociali.
I veri artisti sopravviveranno a questa competizione digitale o finiranno per omologarsi? Oggi l’artista necessità delle competenze digitali per potersi inserire nel mercato dell’arte o gli basta essere talentuoso?
Anche Banksy che è diventato famoso per la sua attività illegale di writer, oggi cura la sua immagine sociale (senza volto) con ben 8,9 milioni di follower!
Se gli artisti contemporanei devono vendere anche la propria immagine oltre che le opere, staremo forse parlando di una nuova generazione di artisti?
Cristina Meli