San Francisco, anni sessanta, un vinile dei Charlatans con la copertina autorealizzata da George Hunter e Michael Ferguson suona in un vecchio giradischi e getta il “seme”, “the seed” di uno nuovo stilema “artistico”: il poster psichedelico. Wes Wilson sarà il capostipite di questo genere stilistico, sdoganandolo, e conferendogli una dignità, noti i suoi manifesti per concerti alla Fillmore Auditorium, patrocinati da Bill Graham e la Family Dog, che pubblicizzano i “Jefferson Airplane” e i “Grateful Dead”.
Immediati, visionari, dai caratteri grafici alterati, che subito immergono nell’atmosfera volutamente distorta e equivoca di questi eventi musicali. La libertà, il senso di ribellione e di indolenza profondono da quella bolla visiva in cui l’effetto ottico deforma il leggibile per dare un senso illusorio e allucinato. E’ un manifesto di pensiero, o meglio di discriminazione da quel modo di pensare dilagante, un intento di rottura con gli ideali precostituiti.
Con l’assist di Griffin e Moscoso che stigmatizzano un’iconografia fumettistica specializzata in campo rock, il genere litografico psichedelico approda a un ibrido tra reminiscenze Art Nouveau e input Optical. Curioso connubio creato dal forte decorativismo di gusto floreale e rigore manicheo geometrico seriale. Il comune denominatore è la rottura con il passato, suggerendo una nuova dialettica tra la sintesi formale e l’applicazione alle arti applicate.
Personalità quali MacLean che attinge direttamente da Van de Valde e Toorop e Wilson che fa della Secessione Viennese la sua linea guida. Poster artists che rielaborano i codici semantici Art Nouveau, dalla morbidezza delle forme, all’estetismo pronunciato, al fattore decorativo esotico imponente nella grafica. Il pathos e la dinamica sono le Muse di questa evoluzione stilistica ibrida, che ha il suo Core operativo in California, culla della “rebel song” e di un processo di “deregulation” dei processi comunicativi, schivi della convenzione.
Costanza Marana