Domenica scorsa è scattato l’arresto a Torino di Njeem Osama Elmasry, capo della polizia giudiziaria di Tripoli, accusato di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, su segnalazione dell’Interpol. Nei suoi confronti, l’accusa è quella di violazione dei diritti umani e crimini di guerra, in qualità di responsabile della prigione di Mitiga, vicino Tripoli. Figura chiave nelle violenze di Stato contro i migranti, Almasri – altro nome con il quale egli è noto – rappresenta uno dei simboli delle dinamiche oppressive e disumane che governano la Libia.
Un arresto che scuote il panorama mediterraneo
Domenica scorsa a Torino è stato arrestato Njeem Osama Elmasry, noto anche come Almasri, capo della polizia giudiziaria di Tripoli. L’arresto è stato eseguito su mandato della Corte penale internazionale, che lo accusa di crimini di guerra legati al suo ruolo nel durissimo centro di detenzione di Mitiga, una struttura tristemente nota per torture e violenze sistematiche sui migranti.
La notizia è stata diffusa dalla pagina Facebook della Fondazione per la riforma e la riabilitazione di Ain Zara e confermata da diverse testate libiche. Ain Zara è un’altra struttura detentiva a Tripoli, il cui direttore era già noto per aver molteplici volte lodato Njeem Osama Elmasry e, ad oggi, per aver richiesto il rilascio dello stesso. Njeem Osama Elmasry è accusato dalla Corte Penale Internazionale di essere “l’anima operativa e il garante del controllo brutale su detenuti”.
Mitiga: epicentro di violenze
La prigione di Mitiga, situata nei pressi dell’unico scalo aereo civile di Tripoli, è stata al centro di numerose controversie. Oltre a ospitare detenuti politici e sospetti terroristi, la struttura ha svolto un ruolo cruciale nel trattenere migranti provenienti dall’Africa subsahariana in condizioni disumane.
Mitiga è anche una base aerea strategica, utilizzata per operazioni militari, inclusi attacchi con droni di fabbricazione turca. Non è ancora chiaro se le accuse contro Almasri siano legate alle fosse comuni scoperte a Tarhuna dopo il cessate il fuoco del 2020, un episodio su cui la Corte penale internazionale sta indagando. All’epoca dei fatti, ci fu il ritrovamento decine di fosse comuni a Tarhuna, in cui furono ritrovati molti dei cadaveri scomparsi nello stesso anno.
Nonostante la si chiami prigione, le condizioni in cui i detenuti si trovano a vivere e a condurre i loro giorni sono più simili ad una tortura, un continuo abuso. Amnesty International l’ha definita più volte un luogo in cui avviene “una detenzione arbitraria” e simbolo della violenza sistemica.
La reazione dalla Libia
In Libia, l’arresto di Njeem Osama Almasri ha suscitato reazioni contrastanti. Abdel Moaz Nouri Bouaraqoub, direttore della struttura carceraria di Ain Zara, ha definito l’arresto “arbitrario” e ha chiesto un intervento immediato delle autorità libiche.
Ha descritto Almasri come un uomo dedito al suo lavoro e ha espresso l’auspicio di un suo rapido ritorno in patria. Per molti, Almasri è simbolo di un sistema oppressivo e violento, fortemente istituzionalizzato, che ha prosperato sotto la copertura di accordi internazionali.
Il ruolo dell’Italia e dell’Europa
L’arresto di Almasri a Torino solleva interrogativi sulla sua presenza in Italia e sul ruolo dell’Europa nel finanziamento delle politiche migratorie libiche. Luca Casarini, portavoce dell’ONG Mediterranea Saving Humans, ha sottolineato come personaggi come Almasri abbiano agito con il supporto economico e politico di governi occidentali per “fermare i migranti”.
Secondo l’ONG Mediterranea Saving Humans, l’arresto di Almasri è il risultato di anni di denunce e testimonianze delle vittime, presentate alla Corte penale internazionale. Nello Scavo, giornalista di Avvenire, ha rivelato che Almasri è stato fermato in un hotel di Torino, dove si trovava insieme ad altri cittadini libici.
Non sono ancora chiari i motivi della sua presenza in Italia, ma la procuratrice generale Lucia Musti ha confermato che la sua posizione è al vaglio delle autorità.
Un sistema da rivedere
Don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans, ha definito l’arresto un segnale della necessità di ripensare le politiche migratorie internazionali. Ferrari ha criticato i respingimenti finanziati da Italia ed Europa, sostenendo che essi alimentano il potere delle mafie libiche e delle reti criminali.
L’arresto di Njeem Osama Elmasry rappresenta un momento cruciale nella lotta contro i crimini legati alle politiche migratorie. Solleva anche domande profonde sul ruolo dell’Occidente nel sostenere regimi repressivi, che definisce e riconosce sicuri, e sull’efficacia delle strategie di controllo dei flussi migratori.
Mentre il caso continua a svilupparsi, resta da vedere se l’episodio porterà a una revisione delle politiche europee o rimarrà un evento isolato in un contesto di sistematica violazione dei diritti umani.