La Russia ha dimostrato di poter fare il bello e il cattivo tempo in campo internazionale, portandosi a casa qualche sanzione, è vero, ma senza di fatto modificare il suo modus operandi. E’ davvero possibile che l’arresto di Navalny e l’effimera capacità di indignazione europea riescano a scalfire il monolite del Cremlino? E’ davvero possibile che a farlo sia proprio un personaggio così divisivo, come di fatto è Navalny, della politica russa?
Aleksej Navalny è stato arrestato l’altro ieri al suo rientro a Mosca dopo cinque mesi. Dopo il lungo periodo di riabilitazione all’estero, a seguito dell’avvelenamento del 20 agosto 2020, l’oppositore del governo russo era partito con la moglie da Berlino, per rientrare in patria atterrando in uno degli aeroporti a sud della capitale russa. Qui era atteso da numerosi manifestanti, accorsi per mostrargli la loro vicinanza. Le forze dell’ordine moscovite, però, ancora prima che l’aereo atterrasse, avevano già arrestato 53 persone solo in aeroporto: arresti ripresi in numerosi video che colgono l’efferatezza degli agenti. L’aereo con a bordo Navalny era stato poi deviato, ufficialmente per ragioni di sicurezza, su un aeroporto a nord di Mosca.
Prima dell’altro ieri
Navalny il 20 agosto si trovava in una città della Siberia per un comizio in vista delle elezioni regionali. Nel volo di rientro, si era sentito male, addirittura entrando in coma e venendo ricoverato in ospedale dopo un atterraggio d’emergenza. Dopo le pressioni dello staff e della moglie di Navalny, un aereo era partito dalla Germania per far ricoverare l’oppositore in una struttura ospedaliera d’eccellenza di Berlino. Qui, oltre a ricevere cure oggettivamente migliori, sarebbe stato precauzionalmente lontano dalle influenze del governo russo che, dalla stampa internazionale, già veniva additato come mandante dell’attentato. Chiaramente, avere una risposta sulle responsabilità non è così semplice, soprattutto se il coinvolgimento del Cremlino fosse effettivo.
Il ritorno in salute
Intanto, in questi mesi, il mondo ha assistito al ritorno in salute di Navalny: qualche settimana fa aveva rilasciato un’intervista a Vdud, uno dei più famosi youtuber russi. Nel video si vedeva il suo straordinario percorso di guarigione e Navalny dichiarava di voler tornare in Russia. Nel frattempo, l’attentato era stato ricostruito dalle indagini ufficiali e da quelle non ufficiali. Intanto, era arrivata alla stampa la notizia delle modalità in cui era avvenuto l’attentato: avvelenamento da Novičok, una sostanza tra le più nocive al mondo, che uccide al solo contatto con la pelle.
Un agente nervino, per intenderci, che non è acquistabile in farmacia, ma che solo i servizi segreti o le persone più potenti del mondo possono procurarsi in modo più o meno indisturbato. Questo è uno degli argomenti che animano di più i detrattori del Cremlino, insieme a una telefonata-confessione in cui un agente dei servizi segreti ammetterebbe allo stesso Navalny (che si finge un uomo dei servizi) il coinvolgimento governativo.
Le tesi contro il coinvolgimento di Mosca
Dall’altra parte, però, ci sono anche alcune innegabili perplessità, sulle responsabilità del governo. Con tutti i modi che la Russia ha dimostrato di avere per mettere fuorigioco una persona, ha senso tentare di uccidere, in modo così plateale, uno dei propri oppositori? E tra l’altro fallire clamorosamente, per la fortuna di Navalny? Non bisogna dimenticare poi che tutto questo avviene nel momento in cui la Russia si trova gli occhi addosso per la situazione in Bielorussia, che rischia di sfociare in un’Ucraina bis e quando cui il consenso di Putin non è proprio ai massimi storici. In Russia si è fatta largo anche un’ulteriore pista complottista, secondo la quale a (fingere di) avvelenare Navalny sarebbero stati i servizi segreti di altri Paesi, proprio per dare a Putin un’altra grana e con gli strumenti per farlo (ricordate il Novičok?), predisponendo per l’oppositore un pronto intervento non appena si fosse sentito male.
L’arresto di domenica 17 gennaio
Tornando comunque alla sera di domenica 17 gennaio, pochi minuti prima dell’arresto, Navalny ha parlato ai giornalisti e si è dichiarato felice di essere tornato. Le ultime parole famose. Il servizio penitenziario federale aveva già emesso un ordine di arresto, perché Navalny, nei suoi cinque mesi a Berlino, aveva violato l’obbligo di firma previsto 2 volte al mese. Navalny, prima del tentato omicidio del 20 agosto, era infatti stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per un’accusa in merito a reati finanziari risalente al 2014. La sentenza stessa che condannava Navalny, dichiarata illegittima dalla Corte Europea per i Diritti Umani, era poi stata sospesa, anche a seguito di alcune proteste di piazza, e convertita in obbligo di firma. Obbligo a cui, quando sei in ospedale per avvelenamento a 1800 km di distanza, non è facile ottemperare.
Un arresto già annunciato
L’arresto era stato annunciato comunque già giorni fa dalle autorità russe, ma Navalny aveva deciso di imbarcarsi su quell’aereo. Il suo avvocato, a ogni modo, aveva assicurato che la misura, secondo le garanzie previste dal diritto russo, non si sarebbe potuto protrarre per più di 48 ore. Ancora una volta: le ultime parole famose. Navalny, all’arresto, non ha potuto nemmeno consultarsi con il suo legale e, successivamente, si è appreso che il processo contro l’oppositore è iniziato direttamente nella stazione di polizia, imbastito alla bell’e meglio, senza nemmeno prendersi la briga di una farsa meno ridicola. La stampa internazionale ha riferito infatti che i legali di Navalny hanno ricevuto la comunicazione dell’inizio del processo pochi minuti prima che questo avesse luogo.
La sentenza
Il risultato? Per Navalny una prima condanna a 30 giorni di reclusione, in vista di un’ulteriore condanna. Il servizio federale poi ha richiesto alla Corte una revisione degli arresti domiciliari, trasformandoli in una reclusione di 3 anni. E ora? E ora si attende che passino questi 30 giorni, mentre la scena internazionale riflette sul da farsi.
Le speculazioni su Navalny non mancano: sapeva dell’arresto, quindi perché recarsi di nuovo a Mosca? Per innegabile spirito di patriottismo e giustizia, o per la sua definitiva consacrazione, tradotta in consenso? E poi, perché tornarci proprio ora? C’entra forse qualcosa il cambio della guardia dall’altra parte dell’Oceano?
Le reazioni internazionali
Jake Sullivan, consigliere di Biden per la sicurezza nazionale, ha subito condannato l’arresto di Navalny, così come non sono mancate critiche al governo russo dall’attuale segretario di Stato USA Mike Pompeo, dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen e di David Sassoli, presidente dell’Europarlamento. Ci saranno forse delle sanzioni internazionali che tenteranno di dissuadere la Russia dal perseguitare Navalny? Mah. E soprattutto: queste funzioneranno per far scarcerare Navalny? Di nuovo: mah.
Il ruolo della Russia
La Russia ha dimostrato di poter fare il bello e il cattivo tempo in campo internazionale, portandosi a casa qualche sanzione, è vero, ma senza di fatto modificare il suo modus operandi. E’ davvero possibile che il caso Navalny e l’effimera capacità di indignazione europea riescano a scalfire il monolite del Cremlino? E’ davvero possibile che a farlo sia proprio un personaggio così divisivo della politica russa?
Prima dell’arresto di Navalny
Aleksej Navalny, infatti, nonostante le ingiustizie subite ultimamente e nonostante l’attentato, non è un personaggio trasversalmente appoggiato dall’opinione pubblica russa. Dopo un passato processualmente burrascoso, qualche anno fa, Navalny ha fondato una sua associazione contro la corruzione. Negli ultimi anni ha catalizzato il malcontento generale della popolazione contro questo tipo di fenomeni. Ha attirato soprattutto l’attenzione del pubblico giovanile, tramite il suo canale YouTube, che conta oltre i 2 milioni di iscritti.
Una figura non trasversalmente amata
Nel frattempo, alcuni, nei confronti di Navalny, hanno iniziato a storcere il naso. C’è qualcuno addirittura che ha sostenuto che potesse essere una marionetta nelle mani stesse del governo, proprio alla luce di una sua scarcerazione improvvisa avvenuta all’alba delle elezioni del sindaco di Mosca, in cui si era candidato. L’ipotesi, secondo i detrattori di Navalny, sarebbe addirittura suffragata dal fatto che il politico youtuber possa essere un grimaldello nelle mani del Cremlino proprio nei confronti degli oligarchi che diventano scomodi. Cosa c’è di meglio, infatti, di avere a disposizione un esercito di 2 milioni di persone da fare indignare a comando, non appena Navalny scoperchia il vaso del malaffare?
Una realtà eterogenea
La realtà russa però è molto più eterogenea rispetto alla figura monolitica di Putin. A lui fa comunque capo un’oligarchia di magnati e per questi, bisogna dirlo, l’ex KGB fa anche da parafulmine internazionale, al netto anche della sua condotta in rotta di collisione con l’UE. Questo concetto di eterogeneità dietro la figura di Vladimir Putin, spesso, viene descritto nella metafora de “le torri del Cremlino”. Tenetele presenti queste torri del Cremlino: secondo qualcun altro, infatti, la ricerca del responsabile dell’attentato di Navalny è da portare avanti proprio tra gli oligarchi.
Ad ogni modo, la storia di Navalny è una matassa molto intricata, che ha bisogno di essere letta alla luce di un complessissimo equilibrio internazionale. Navalny ha chiesto ai suoi sostenitori di supportarlo con una manifestazione di piazza il 23 gennaio. Vedremo cosa succederà e quali saranno le prossime mosse di Mosca (ma anche di Washington) sullo scacchiere nazionale e internazionale.
Molte delle notizie qui riportate sono affrontate in modo più compiuto all’interno dei canali YouTube di Stefano Tiozzo e Alessandro Masala, di cui trovate i video in merito qui sotto.
Elisa Ghidini