Con l’arresto di Messina Denaro finisce un’epoca buia della storia italiana

arresto di Messina Denaro

Dopo 30 anni di latitanza, l’ex boss di Castelvetrano è stato fermato oggi 16 gennaio nella clinica privata La Maddalena di Palermo. Con l’arresto di Messina Denaro, Cosa Nostra ha perso un’altra battaglia contro lo Stato. E consegna alla giustizia il responsabile di alcune tra le stragi più efferate della storia italiana.

Da Capaci a via D’Amelio, passando per Roma, Firenze e Milano, c’è un filo rosso che collega tra loro gli attentati dinamitardi avvenuti tra il 1992 e il 1993. Un nome, Matteo Messina Denaro, conosciuto tra i suoi “collaboratori” come u siccu o Diabolik. Che oggi è diventato il volto, vecchio e consumato, della sconfitta dell’organizzazione Cosa Nostra, permettendoci di chiudere i conti con un passato oscuro, fatto di macerie, bombe e sangue.

L’inizio tra le file di Riina

Figlio di Francesco Messina Denaro, viene introdotto nell’ambiente mafioso dal padre, capo del mandamento di Castelvetrano e sostenitore dei corleonesi di Salvatore Riina. Il boss al comando della Cupola diventò quasi una seconda figura paterna per Denaro, soprattutto dopo l’inizio della latitanza di Don Ciccio. L’assenza di Messina Denaro padre portò Matteo a sostituirlo come boss addetto al mandamento; in tale veste egli compì i suoi primi omicidi nella faida tra i clan Accardo e Ingoglia, uccidendo così tante persone da “poterci riempire un cimitero” , secondo le sue stesse dichiarazioni.

Questo è solo l’inizio, ma sono i fatti del biennio 92-93 a renderlo un ricercato di primo livello. Denaro in quegli anni diventò l’esecutore, insieme al complice e amico Giuseppe Graviano, di attentati contro personaggi illustri e impegnati nella lotta alla mafia, seguendo la linea militarista di Riina (“fare la guerra per poi fare la pace”). È un periodo teso, in cui il governo italiano si trova così tanto in difficoltà da dover scendere a patti con le organizzazioni criminali;  si stipulano gli accordi informali tra Stato e Mafia, macchia indelebile della Prima Repubblica.

Le stragi e le vittime illustri

Gli attentati non risparmiano la popolazione civile, anzi la prendono di mira cercando di diffondere sfiducia nelle istituzioni. A Roma ad esempio, il 26 luglio 1993, due autobombe esplosero di fronte alle chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro. L’ipotesi inquietante è che fosse un segno di ripicca nei confronti di un discorso di Giovanni Paolo II.

Tra le vittime della stagione stragista compariranno i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (che aveva disposto un mandato di arresto anche per Francesco Denaro), il generale Alberto Dalla Chiesa e il deputato del PCI Pio La Torre. Dopo la morte di quest’ultimo il Parlamento approvò una proposta di legge, firmata proprio da La Torre, che rendeva finalmente l’associazione a stampo mafioso un reato penale.

Gli affari e la latitanza

Dopo l’arresto di Riina nel 1993, U siccu inizia il suo periodo di latitanza trentennale, e tramite le sue conoscenze dà un’impostazione diversa all’azione mafiosa, incentrata sugli affari e sull’imprenditoria. Questa trasformazione gli permette di costruire un impero economico con centro a Trapani, formato da attività e aziende colluse. L’impostazione imprenditoriale gli consente di finanziare le sue attività senza correre gli stessi rischi del traffico di droga. Tramite uomini fidati entra in contatto con uomini di governo stranieri e aziende di costruzione per aggiudicarsi appalti. La rete comprende Malta, Sudafrica, Namibia, Libia e Libano, di cui riescono ad intercettare addirittura il primo ministro Rafīq al-Ḥarīrī.

L’arresto di Matteo Messina Denaro a Palermo

Finalmente, grazie alla loro azione coordinata i carabinieri del Gis hanno arrestato Matteo Messina Denaro durante una seduta di chemioterapia, esattamente un giorno dopo l’anniversario dell’arresto di Riina, suo mentore e figura di riferimento. Possiamo così celebrare una grande vittoria dello Stato sulle associazioni mafiose, ma anche auspicare l’inizio di un nuovo periodo di legalità nel nostro paese, contrapposto ai tempi bui, quasi di guerra civile, che l’Italia ha affrontato solo trent’anni fa.

Lorenzo Luzza

Exit mobile version