La ricerca condotta da ricercatori del Baycrest’s Rotman Research Institute di Toronto e dal Rambam Medical Center di Israele e pubblicata su Resuscitation intendeva valutare i danni neurologici nei sopravvissuti ad arresti cardiaci di breve durata, cioè un’ipossia (mancanza di ossigeno nell’organismo) inferiore ai sette minuti. La risposta chiama le autorità sanitarie a rivedere il tipo di assistenza che offrono a questi pazienti.
Ogni anno tra Canada e USA si verificano ben 464000 arresti cardiaci al di fuori di una struttura ospedaliera, nove su dieci di questi pazienti purtroppo non sopravviveranno, ma ciò lascia con più di 46000 sopravvissuti che vengono rimandati a casa senza una approfondita valutazione di eventuali danni neurologici, che riguardano soprattutto la memoria, che non sono desumibili da test standard come il Cerebral Performance Category (CPC) il Mini Mental Status Examination e il Montreal Cognitive Assesment (scusate l’inglese ma anche nei testi scientifici italiani si trovano in originale).
Dopo mesi questi pazienti cominciano a manifestare problemi cognitivi, soprattutto di memoria, a cui non erano stati preparati e tanto meno sanno a chi rivolgersi.
Lo studio guidato dal Dr. Asaf Gilboa e dalla dottoressa Vess Stamenova ha preso in esame (con test di valutazione delle capacità cognitive e diagnostica per immagini) 18 pazienti che avevano avuto un infarto o un breve arresto cardiaco al Rambam Medical Center di Haifa e che avevano subito CPR (rianimazione cardio polmonare) entro 3 minuti, i pazienti sono stati controllati in un periodo tra i due e i quattro anni dall’evento.
I risultati sono stati impressionanti, si sapeva già che l’ippocampo (area del cervello fondamentale per la memoria) è particolarmente sensibile alla mancanza di ossigeno, ma non si sospettava che gli effetti, anche di una breve mancanza, fossero così importanti, i test hanno rivelato problemi significativi della memoria, mentre la diagnostica per immagini ha mostrato una sbalorditiva (ribadisco che si tratta di ipossie brevi) riduzione, tra il 10% e il 20%, delle dimensioni dell’ippocampo.
In conclusione ogni volta che qualcuno sopravvive a un arresto cardiaco chi lo ha curato dovrebbe effettuare valutazione degli effetti neurologici e considerarlo a rischio indicando anche, prima di mandarlo a casa, a cosa potrebbe andare incontro e dove rivolgersi per aiuto.
Roberto Todini