Gli arresti a Palermo e quel passato mai chiuso
Gli arresti a Palermo della settimana scorsa hanno rievocato il tema della mafia in politica. Due candidati di centrodestra sono stati arrestati perché, secondo le indagini, erano in corso patti per voti di scambio mafioso. Ed ecco che si torna a parlare di “giustizia politicizzata“. La mafia non può dividere in politica: o sei contro, o sei fuori. Stop, punto. Non si accettano altre scusanti, non sopra una pila così alta di teschi umani.
Eppure, nel corso degli anni, le cronache hanno, purtroppo, riportato le molte gesta dei cosiddetti professionisti dell’anti-antimafia. Delle due l’una: o essi agiscono in malafede, oppure sono degli ignoranti in materia. D’altronde, non hanno mica scelta, loro. Parlano di mafia con la stessa cognizione di causa di Johnny Stecchino. Di seguito riportati solo alcuni dei molti casi ove personaggi pubblici hanno tentato di sminuire, o addirittura negare, la vergognosa piaga che è la mafia.
La bomba inesplosa e il giudice vittimista
Oggigiorno, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono considerati eroi nazionali, ma non è sempre stato così, anzi! Quando erano ancora in vita, avevano su di loro la pesante accusa di sfruttare la mafia per scalare le loro carriere. Emblematico l’articolo di Sciascia intitolato “I professionisti dell’antimafia“, uscito sul Corriere della Sera del 10 gennaio 1987. Insomma, molti opinionisti remavano contro l’impegnata lotta alla mafia di Falcone e Borsellino. Tali ostilità vennero a galla in seguito al fallito attentato del 21 giugno dell’89 a Giovanni Falcone. “Menti raffinatissime” avevano piazzato degli esplosivi nei pressi di una villa che il magistrato aveva preso in affitto per l’estate.
Calunnie e veleni non tardarono ad arrivare: una bomba inesplosa divenne la scusa per montare accuse di vittimismo e sospetti di mitomania su Giovanni Falcone. Questi pregiudizi sono la matrice di un sillogismo fastidioso, il quale mette in dubbio la sincerità di Falcone. “Se a Palermo si muore perché si è soli, e Falcone era ancora vivo, allora Falcone nascondeva qualcosa? “. La scuola del giornalismo d’inchiesta alla Johnny Stecchino.
Negazionismo tragicomico
Tenetevi forte perché questa è spassosa. Siamo nel ’97, a stragi compiute. Perfino il fu partito degli scettici prende coscienza del fatto che la mafia vive, opera e prospera indiscriminata, sotto gli occhi di tutti. Cosa Nostra era solita preferire operazioni silenti alle teatrali bombe per imporre la propria forza. Ne sono un esempio tutti i casi di ‘lupara bianca’ negli anni delle guerre di mafia: l’uomo d’onore destinato alla morte prima sparisce, poi viene ucciso, spesso strangolato, e il suo corpo non ritrovato. Le stragi di mafia del ’92, quindi, sembrano più una dimostrazione di ferocia che un semplice omicidio di Stato. In quest’ottica, le indagini e le dichiarazioni sulla Trattativa Stato-mafia sono coerenti con il pensiero di Giovanni Falcone sui modi di Cosa Nostra.
Dopo questo ‘papello’ di retroscena storico, torniamo a noi: siamo nel ’97, durante il primo governo Prodi. L’anno prima, Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi e fondatore insieme a lui di Forza Italia, veniva accusato dalla Procura di Palermo di aver avuto rapporti con la mafia. Così, Piero Chiambretti decide di intervistarlo, e manda un inviato a Palermo per fare delle domande scomode al senatore. Non ci sono parole all’altezza per descrivere la clip diventata famosa di questa intervista:
I tentacoli della Piovra segreta
“Voglio più tasse, più IRPEF/ Sono d’accordo con Dell’Utri, la mafia non esiste “. Anche Fedez concorda con Dell’Utri, peccato che la canzone citata si intitoli “Tutto il contrario”. Sembrerà strano con gli occhi di oggi, ma Cosa Nostra come organizzazione criminale non è un fatto storico molto vecchio, tutt’altro. Per anni, l’approccio dello Stato alla mafia è stato pregno di ignoranza e scetticismo, giacché non fosse possibile ipotizzare lo schema di una struttura di potere stabile.
Tutto cambiò con Tommaso Buscetta, e la sua collaborazione con il giudice Falcone. Il boss dei due mondi svelò al mondo intero l’organizzazione di Cosa Nostra, la quale aveva delle regole molto rigide. Ad oggi sappiamo finanche che la mafia, in passato, ha emanato delle vere e proprie leggi, come ad esempio il divieto agli uomini d’onore di praticare sequestri e rapimenti in Sicilia. Forse Dell’Utri non aveva fatto i compiti per casa in quel dì del ’97. ‘Spiace che vengano condannate così tante persone per associazione inesistente.
Lagalla e le cattive compagnie
Roberto Lagalla è il nuovo sindaco di Palermo, e la sua campagna elettorale non ha mancato di suscitare polemiche sui giornali. Soprattutto per quanto riguarda le benedizioni ricevute da certi nomi scomodi. Ovvero? Il già menzionato Dell’Utri, e l’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, anch’egli prima indagato e poi condannato per mafia. Nonostante i due non abbiano partecipato in modo diretto alla campagna elettorale, le ombre di sospetti mafiosi hanno accompagnato Lagalla in tutta la sua candidatura.
Forse, questi sospetti non sono poi così infondati, e c’è da dire che anche Lagalla ci ha messo del suo. Il 23 maggio scorso, all’anniversario della strage di Capaci, Lagalla non ha presenziato al ricordo della morte di Giovanni Falcone e della sua scorta. Il motivo dell’assenza, stando alle sue parole, era di scongiurare le polemiche che di certo gli sarebbero arrivate, per via delle dichiarazioni di Cuffaro e Dell’Utri. Ecco, la mafia che divide la politica. Non siamo qui a far gogna, sono entrambi cittadini che hanno scontato le loro pene. Epperò la questione etica politica persiste, e non è incoraggiante il fatto che un candidato sindaco abbia avuto paura di aderire all’antimafia in pubblico.
La solita tarantella
Il cerchio si chiude: torniamo agli arresti a Palermo. Pietro Polizzi e Francesco Lombardo, entrambi in lista con Lagalla, sono stati arrestati perché accusati di cercare un patto politico-elettorale con ex condannati per mafia. “Se sono potente io, siete potenti pure voi “: insomma, sospetti più che fondati. Sarebbe logico pensare che la coalizione tutta prenda le distanze da ciò che è avvenuto. Che rilanci la memoria storica sulla stagione delle stragi di trent’anni fa. Invece no, perché si inneggia alla “giustizia politicizzata”.
Nel giorno delle amministrative e dei referendum sulla giustizia, Silvio Berlusconi arriva a Palermo, e commenta, dopo giorni, la notizia dell’arresto di Pietro Polizzi. Rilancia la solita tarantella della giustizia politicizzata, asserendo che le tempistiche siano un po’ sospette. Idem Giorgia Meloni. Potranno anche essere tempistiche sospette, ma resta il fatto che le accuse rivolte ai due candidati sono molto gravi, sostenute da prove che lo sono altrettanto. Sarà la magistratura a decidere, mica il sistema mediatico, in fondo siamo in uno stato di diritto. Tuttavia, non sarebbe nemmeno stata una cattiva idea quella di prendere le distanze da certi atteggiamenti e certe frequentazioni. Eppure, ciò non è avvenuto, aggirando ancora una volta quell’elefante nella stanza che è la mafia.
Matteo Petrillo