È stato arrestato a Genova Pasquale Bonavota, boss della ‘Ndrangheta latitante da cinque anni. Dopo un breve pedinamento nel centro del capoluogo ligure, i carabinieri lo hanno arrestato all’interno della cattedrale di San Lorenzo, dove si era recato per pregare. Il quarantanovenne calabrese appariva nella lista dei criminali latitanti più pericolosi d’Italia.
Pasquale Bonavota, figlio del fondatore del clan ‘ndranghetista Bonavota, è stato arrestato dai carabinieri a Genova. Era considerato il capo e il cervello della suddetta associazione mafiosa. La latitanza del boss è iniziata nel 2018 dopo essere stato condannato in primo grado all’ergastolo per due omicidi commessi nel 2004. Nel 2021, tuttavia, la sentenza è stata annullata dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro.
Le ricerche del boss calabrese sono comunque continuate perché era rimasto l’unico sospetto rimasto ancora latitante nell’elenco di persone indagate nell’operazione “Rinascita-Scott”. Tale operazione, nel 2019, aveva portato ad arrestare 334 presunti appartenenti alle cosche ‘ndrine di Vibo Valentia.
Il boss era ricercato per le accuse di associazione di tipo mafioso e di vari omicidi. Restano tutt’ora solo accuse, in quanto il procedimento penale non si è ancora concluso. L’incarcerazione, infatti, è volta solamente a rendere effettiva la custodia cautelare derivante dalle indagini dell’operazione “Rinascita-Scott”.
In quegli atti di accusa, Bonavota veniva descritto come colui che “prendeva le decisioni più importanti” insieme ad altri boss della ‘Ndrangheta, e colui che “curava gli interessi dell’associazione nei settori del gioco d’azzardo e del traffico di droga”.
L’arresto
Siete sicuri che sono il Pasquale che state cercando? Io sono qui solo per pregare.
Queste le parole del boss calabrese al momento dell’arresto, avvenuto all’interno della cattedrale genovese di San Lorenzo. Bonavota aveva con sé un documento d’identità falso, recante una sua foto ma intestato ad un’altra persona. Su tale documento sono state avviate indagini volte ad accertare il sistema di fiancheggiatori di cui il boss si è servito.
È stato perquisito anche il suo appartamento nel capoluogo ligure, nel quale sono stati trovati decine di migliaia di euro in contanti, quattro carte d’identità e svariati cellulari.
Pasquale Bonavota è “nato mafioso”
Pasquale è il figlio di Vincenzo Bonavota, fondatore ed ex capo della ‘ndrina calabrese Bonavota, nata tra Sant’Onofrio e Stefanaconi, nella provincia di Vibo Valentia.
La sua prima denuncia l’ha collezionata all’età di 13 anni, per furto continuato in concorso. Solamente 3 anni dopo, nel 1990, è stato accusato di far parte di un’associazione a carattere mafioso. Infatti, per fronteggiare una guerra tra clan che stava decimando la sua famiglia, portava sempre con sé una pistola giurando vendetta per i familiari persi. Tale evento lo fece rendere noto come il “boss bambino”.
La carriera mafiosa di Pasquale Bonavota è iniziata appunto nella sua terra natia, per poi espandersi principalmente in Lazio, Liguria e Piemonte. Le attività di cui si occupava erano molteplici, ma quella con cui aveva più a che fare era lo spaccio di droga, particolarmente intenso a Roma.
Ultimamente gli interessi del boss calabrese riguardavano anche investimenti in criptovalute, operati tramite una piattaforma di cui aveva preso il controllo e volti a riciclare il denaro sporco proveniente dalle svariate attività illecite di cui si occupava. Gli affari di questa “’Ndrangheta evoluta”, così definita dal capo della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catanzaro Nicola Gratteri, arrivavano fino in Ungheria.
Buone notizie
La notizia dell’arresto di Pasquale Bonavota, avvenuto al termine di numerose indagini operate dal Ros e dai carabinieri di Genova e Vibo Valentia, arriva pochi mesi dopo la cattura del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Bonavota, ultimo boss della ‘Ndrangheta in circolazione, era all’interno dell’elenco di latitanti altamente pericolosi del “programma speciale di ricerca” del Viminale.
Di primaria importanza per riuscire a catturare il latitante sono state le intercettazioni, come dichiarato dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri:
Un risultato importante, frutto di anni di collaudata sinergia tra il Ros e la Dda. Questa indagine conferma l’indispensabilità delle intercettazioni, senza le quali non saremmo arrivati alla cattura del boss.
Complimentandosi con l’Arma dei carabinieri, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha sottolineato il grande successo dell’operazione:
Una forte risposta dello Stato che conferma ancora una volta il grande impegno delle autorità italiane per contrastare le organizzazioni mafiose e assicurare alla giustizia pericolosissimi criminali.