Un rapporto di EgyptWide ha dato prova che le armi leggere italiane in Egitto hanno contribuito al deterioramento dei diritti umani nel paese. “Made in Italy per reprimere” è il titolo della relazione da cui emerge che, tra il 2013 e il 2021, il nostro paese ha venduto armi al Cairo per un fatturato totale di quasi 19 milioni di euro. Gli ammonimenti dell’UE o l’omicidio di connazionali come Giulio Regeni non sono stati sufficienti a interrompere il finanziamento del regime autoritario militare di al-Sisi.
Le SALW: il prodotto made in Italy prediletto da Il Cairo
I ricercatori di EgyptWide, iniziativa egiziana-italiana per i diritti umani e le libertà civili, hanno pubblicato lo scorso 22 maggio un report sulla vendita da parte dell’Italia di SALW al Cairo. “SALW” (Small Arms and Light Weapons) è l’acronimo inglese per “armi piccole e leggere”. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, questo genere di armi è responsabile del 90% dei morti nei conflitti armati. Queste vengono oggi utilizzate nel paese di Abdel Fattah al-Sisi per intimidire e compiere violenze contro la popolazione civile.
In seguito ad un complesso lavoro di documentazione, che ha usato dati provenienti da molteplici fonti governative e internazionali, è stato possibile quantificare il volume e il valore delle SALW italiane esportate a Il Cairo tra 2013 e 2021. I risultati sono stati presentati alla Camera dei Deputati il 24 maggio scorso. Insieme a EgyptWide vi erano l’Istituto di ricerca Archivio Disarmo, Rete italiana Pace e Disarmo e Amnesty International. Solo qualche giorno prima che il gup di Roma decidesse di chiedere alla Corte Costituzionale di esprimersi sull’assenza di imputati nel caso di Giulio Regeni.
All’interno del report emerge chiaramente come le armi leggere italiane in Egitto siano utilizzate “nelle violazioni dei diritti umani, in particolare in esecuzioni extragiudiziali, nell’uso eccessivo della forza contro i manifestanti e nell’intimidazione di civili”. Pertanto, gli autori di “Made in Italy per reprimere” hanno chiesto al Parlamento di istituire una commissione d’inchiesta per verificare quanto detto nel rapporto. Nel frattempo, viene sottolineata la necessità di sospendere il commercio d’armi con Il Cairo.
I risultati di “Made in Italy per reprimere”
Dal rapporto di EgyptWide emerge come il nostro paese abbia esportato SALW in Egitto per un valore compreso tra i 18.900.000 e i 19.223.000 di euro nell’arco di otto anni. Nello stesso periodo, è stato autorizzato l’export di altre armi piccole e leggere per un valore di oltre 62 milioni, al netto di munizioni e ricambi. Nel 2019, Abdel Fattah al-Sisi è stato il primo acquirente al mondo di armi italiane, raggiungendo quota 900 milioni. Nel 2020, anno dell’arresto di Patrick Zaki, è stato sfiorato il miliardo. Cifre strabilianti se si pensa alla crisi economica in cui versa il paese.
Secondo il rapporto:
- Il materiale ricevuto dall’Egitto include oltre 120 revolver e pistole, più di 3.600 fucilie oltre 470 fucili d’assalto. A questi, si aggiunge un numero imprecisato di carabine, mitragliatrici, munizioni, parti di ricambio e attrezzature per la direzione del tiro, tecnologie militare e software.
- Tra i modelli prediletti per commettere violenze vi sono i fucili 70/90 e ARX160, prodotti dalla Fabbrica d’Armi Berretta S.p.A. Queste armi sono state utilizzate durante i massacri di Al-Nahda e Rabaa Al-Adawiya del 2013. A queste si aggiungono la Beretta 92FS e la Benelli SuperNova Tactical, impiegati nelle operazioni di sgombero e uccisione dei civili nella penisola del Sinai.
La fornitura di armi all’Egitto da parte dell’Italia viola le indicazioni del Consiglio d’Europa dell’agosto 2013. Infatti, in seguito ai sopracitati massacri, i paesi dell’UE avevano “convenuto di sospendere le licenze di esportazione verso l’Egitto di qualsiasi materiale che potrebbe essere utilizzato per la repressione interna”. Non solo, viola la legge italiana sul commercio di armi e le disposizioni del Trattato ONU sul commercio d’armi. Il report mette dunque nero su bianco come per l’Italia i profitti dell’industria bellica siano più importanti dei diritti umani.
Vendita di armi leggere italiane in Egitto mentre si consuma una guerra a bassa intensità
Da quando al-Sisi è diventato, in seguito ad un golpe, Presidente dell’Egitto nel luglio 2013, si è instaurato nel paese un regime brutale e repressivo. Le autorità vietano ogni forma di dissenso, anche pacifica, attraverso torture, arresti di massa, incarcerazioni senza processo ecc. Questa criminalizzazione della libertà di espressione degli egiziani, la quale non ha fatto che crescere nell’ultimo decennio, è stata denunciata a più riprese da Amnesty International.
Proprio negli anni dell’installazione del regime di al-Sisi, iniziava l’intensa collaborazione tra Roma e Il Cairo. Leggendo “Made in Italy per reprimere”, notiamo infatti come il primo boom di vendita di armi leggere italiane in Egitto si è registrato proprio tra 2013 e 2014. L’export italiano di SALW che nel 2013 ammontava a 17 milioni è quasi raddoppiato nel corso di un anno, raggiungendo i 31,7 milioni. Il valore più basso, con “solo” 7 milioni, è del 2016, anno dell’assassinio di Giulio Regeni. Tuttavia, neanche l’ostruzionismo da parte del governo egiziano, tutt’oggi responsabile della mancata giustizia per il giovane ricercatore friulano, è bastato a dare il colpo di grazia alla collaborazione con al-Sisi.
L’Italia e l’UE sostengono la macchina repressiva egiziana
Il 2021, anno che chiude l’arco cronologico preso in esame dai ricercatori di EgyptWide, ha segnato il record per il valore totale delle licenze per le esportazioni d’armi concesse dall’Italia. Siamo tra i maggiori esportatori al mondo di SALW, secondi solo agli Stati Uniti. Il nome “armi piccole e leggere” non deve far credere che queste siano meno letali. Sono più facili da nascondere e, di conseguenza, da rintracciare ma il numero di morti di cui sono responsabili non ha nulla da invidiare alle “classiche” armi di distruzione di massa.
L’Unione Europea, e l’Italia in quanto paese membro, ha la responsabilità di contrastare il regime egiziano e punire i crimini da questo perpetrati. Al contrario, negli ultimi anni l’Egitto è stato considerato sempre più un interlocutore. L’UE collabora con al-Sisi nella lotta all’immigrazione illegale, continua a importare gas egiziano… Fornisce sostegno militare, economico e politico ad un regime che se sulla carta dichiara di lavorare per instaurare una cultura dei diritti umani nel paese, continua quotidianamente a seminare insicurezza e terrore. La presenza tanto pervasiva di armi leggere italiane in Egitto ne è la prova.
Nell’ormai lontano 2013, il Consiglio d’Europa si riunì a Bruxelles e di fronte alle violenze di al-Sasi disse: “I colpevoli devono essere assicurati alla giustizia”. Sono passati dieci anni e, tra ingiuste incarcerazioni e omicidi, di giustizia non si vede nemmeno l’ombra.