“Armi di persuasione di massa” (titolo originale “The influecing machine”) è un graphic novel realizzato dalla giornalista Brooke Gladstone e dal fumettista Josh Neufeld. Il tema principale dell’opera è il nostro rapporto con i canali di diffusione delle informazioni, i media. A guidarci in questo “excursus storico”, che parte dall’antica Roma e giunge sino ai giorni nostri, è Brooke Gladstone, o meglio la sua versione a fumetti.
Si parte dal concetto di notizia, ossia la comunicazione di un fatto, e si cerca di capire come, una volta personalizzata, possa diventare “racconto”. Il graphic novel è un vero e proprio saggio che tenta di esplorare gli angoli più oscuri mella realizzazione di una notizia. La notizia è, infatti, divenuta “merce” in un periodo storico caratterizzato dalla forte presenza dei social network. La condivisione di notizie può diventare un importante strumento di promozione di un contenuto piuttosto che di un altro. Chi sceglie le notizie? Chi veicola l’informazione? Quali sono i meccanismi che ruotano attorno alla diffusione dei dati?
L’informazione è costantemente usata per provocare attenzione, brividi ed eccitazione: il risultato è una situazione emotiva generale che provoca una montante esigenza di catarsi.
(Marshall McLuhan)
L’informazione è posta quasi in secondo piano, o meglio, è utilizzata come espediente utile al raggiungimento di un altro scopo, forse quello principale. L’obiettivo è influenzare l’opinione pubblica sfruttando anche il lato emotivo dello spettatore. Il giornalista, da mero strumento di diffusione del dato, diventa protagonista, interviene sul pezzo ed esprime proprie considerazioni.
L’autrice, però, inserisce un ulteriore riflessione: e se fossimo noi a influenzare i media? I canali di informazione, spinti da un interesse prettamente commerciale, cercano forse di assecondare i gusti del pubblico?
Sulla scia di questa argomentazione, Gladstone giunge ad affermare che in definitiva “abbiamo i media che ci meritiamo”. Una tesi in controtendenza, a fronte delle tante che ai media attribuiscono il perseguimento di un vero e proprio obbiettivo, ossia la “massificazione”. La contrapposizione, dunque, di due teorie diverse: da una parte un’informazione regolata dalle leggi del mercato, dall’altra il sospetto che molti mezzi di comunicazione siano manipolati al servizio della propaganda.
Sarebbe interessante analizzare in quale misura i sistemi di comunicazione di massa lavorino al servizio dell’informazione e in quale misura al servizio del silenzio. Sono più le cose che vengono dette o quelle che vengono taciute?
(Ryszard Kapuscinski)
Brooke Gladstone è una giornalista americana, autrice di libri e analista di media. È direttrice e conduttrice del programma radio “WNYC On the Media” , ed è stata collaboratrice di testate importanti come “The Washington Post” , “The Boston Globe” , “The Observer” e “Slate”. Gladstone ha tenuto lezioni presso diverse Università ed è apparsa sul “Bill Moyers Journal” (PBS). È conosciuta come esperta di informazione e tendenze della stampa. Nel 2011 ha pubblicato “The Influencing Machine”, un romanzo grafico “non-fiction” in collaborazione col fumettista Josh Neufeld. Gladstone descrive il libro come “un trattato sul rapporto tra noi e i media” mentre Leon Neyfakh lo definisce come “un manifesto sul ruolo della stampa nella storia americana”.
Gladstone cerca di spiegare il rapporto tra media, potere e massa, e tanti altri fenomeni, attraverso una serie di esempi, dei quali è possibile conoscere persino il riferimento bibliografico. Anche in virtù di ciò, si sottolinea l’atipicità dell’opera: non si tratta di un semplice graphic novel, ma di un saggio sull’informazione. Quali sono i lati positivi e negativi dell’opera?
Pregi: 1) il libro inizia in maniera pimpante, quasi a voler impressionare, sebbene in maniera effimera, il lettore; 2) la presenza di una bibliografia, elemento importante che regala uno “spessore”, anche fisico, all’opera (è un bel mattoncino); 3) si tratta di uno scherzo, non sono presenti altri pregi.
Difetti: sono tanti e ben visibili non appena ci si addentra nel vivo del saggio. 1) Le argomentazioni, condivisibili o meno, sono estremamente forzate. Lo stile è quello tipico “americano”: tante informazioni veloci, sintetiche, a tratti, decontestualizzate. Gli argomenti vengono solamente toccati, mai approfonditi e, nel corso delle pagine, questo rende la lettura snervante, come ascoltare più persone che parlano a voce molto alta e contemporaneamente.
2) La storia universale, ma soprattutto quella dei media, è presentata attraverso un taglio americano-centrico di dubbia veridicità. Molti “fatti storici” sono stati fraintesi oppure descritti in maniera troppo semplicistica. Diversi riferimenti alla letteratura nostrana sono, anch’essi palesemente mal interpretati e, come se non bastasse, usati per fini non propri. Un esempio su tutti il tentativo di tacciare come “ignavi” (come ne La Commedia) i giornalisti che non prendono posizione circa le notizie trasmesse per poi raffigurarli spazzati via da un bufera come se fossero nel circolo dei “lussuriosi”. Le sviste sono tante e, se prese col giusto piglio, anche spassose.
3) Il titolo non è appropriato né nella versione originale, tanto meno in quella tradotta. 4) La tesi principale del libro rimane sospesa come un foglio di giornale trasportato dal vento. Si cerca di afferrarlo per ore e, una volta riuscitici, non si capisce secondo quale verso leggere l’articolo. 5) Lo stile grafico, sebbene ricordi vagamente quello della serie televisiva “Allacciate le cinture viaggiando s’impara”, è funzionale alla narrazione (tanto semplice da scomparire dietro infiniti monologhi e didascalie).
Il libro è un apprezzabile punto di partenza nell’indagine della rilevanza dell’informazione nella società. Sebbene la maggior parte dei temi non siano sviluppati pienamente, essi rappresentano, perlomeno, fonte di ispirazione per ulteriori ricerche.
La stampa non vuole informare il lettore, ma convincerlo che lo sta informando.
(Nicolás Gómez Dávila)
Giuseppe Bua