Armeni ancora sconfitti e in pericolo

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Michele Marsonet Ultima Voce

– di Michele Marsonet –

Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane.

Per l’Armenia si conclude nel peggiore dei modi l’ultimo conflitto per il Nagorno-Karabakh (Artsakh per gli armeni), vinto dall’Azerbaigian. Per evitare guai peggiori, il presidente armeno Nikol Pashinyan ha dovuto riconoscere la sovranità azera su questo piccolo territorio di 4400 kilometri quadrati, incuneato nel territorio azero e abitato da circa 140.000 armeni.

Le due Repubbliche ex sovietiche avevano convissuto, pur con molti problemi, ai tempi della ex Urss. Crollata quest’ultima il conflitto è esploso con virulenza. E, anche se alcuni lo negano, in questo caso il fattore religioso conta davvero.
Quella armena è una della più antiche comunità cristiane del mondo, come testimoniano le numerose e bellissime chiese, molte delle quali situate proprio nella enclave contesa. Gli azeri sono invece musulmani e turcofoni, e non hanno mai accettato la presenza armena in un territorio che considerano loro, e che fu per l’appunto attribuito all’Azerbaigian da Stalin.

Numerose le guerre combattute dai due Paesi per il controllo del Nagorno. All’inizio gli armeni risultarono sempre vincitori, ma nell’ultimo a prevalere furono gli azeri anche grazie al massiccio impiego di droni forniti da Ankara. Tra i due Paesi c’è un odio antico. Durante una mia visita all’università di Baku, la capitale dell’Azerbaigian, continuavo a imbattermi in chiese armene con le porte sbarrate da assi di ferro, mentre i colleghi azeri non perdevano occasione per dirmi che gli armeni vincevano solo grazie all’appoggio russo.
Ora la vendetta si è compiuta. Il problema è che gli armeni hanno uno sponsor debole, vale a dire Vladimir Putin impelagato nel conflitto ucraino. Molto forte invece lo sponsor degli azeri, e cioè Recep Tayyip Erdogan uscito ancora vincitore dalle ultime elezioni, e impegnato a rafforzare i rapporti con i molti Stati turcofoni dell’area.

A Erevan il presidente Pashinyan è sotto attacco da parte dei nazionalisti armeni che volevano combattere fino all’ultimo, ma è stato costretto a cedere vista la situazione di inferiorità. Si noti che la Turchia non ha mai riconosciuto il genocidio armeno del 1915, e vi sono timori di possibili stragi ai danni della popolazione dell’Artsakh, parte della quale rifiuta di rifugiarsi in Armenia.

Gli occidentali più di tanto non possono fare, come dimostra l’inutile visita a Erevan della ex speaker della Camera Usa Nancy Pelosi, In effetti l’influenza degli americani nell’area è scarsa, per non dire nulla. Mosca ha inviato 2000 soldati come forza di interposizione, ma la mossa non ha sortito alcun effetto.
Ora gli armeni tentano di attirare l’attenzione della comunità internazionale, ma hanno un problema. L’Azerbaigian possiede enormi giacimenti di petrolio, assente invece in Armenia. E anche la Ue, più volte invocata, può fare poco. Al contrario, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è recata a Baku per firmare un accordo di forniture petrolifere.

Situazione quindi drammatica, per l’Armenia, con i russi impegnati altrove e i turchi intenti a rinverdire il sogno dell’Impero ottomano. Si può solo sperare che il presidente azero Ilham Aliyev pratichi la moderazione, impedendo eccidi già visti in passato.

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