Aria condizionata in ufficio: più freddo, meno produttività

Lo dice una ricerca del Dipartimento di Design ambientale della Cornell University di New York, che afferma che negli uffici con troppa aria condizionata si riduce la produttività dei lavoratori. Sarà successo a tutti di provare l’evidente sbalzo tra caldo e freddo quando si entra o esce dall’ufficio, come vi sarà anche familiare l’eterna lotta di genere tra colleghi, che vede schierate da una parte le donne – capaci di indossare cardigan, pullover, sciarpe e altri indumenti poco probabili in luglio e agosto – e dall’altra i colleghi uomini, che tentano in ogni modo di abbassare i gradi del condizionatore.

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Contrariamente a quanto si è sempre creduto, però, ora lo studio americano contraddice i presunti benefici del freddo in ufficio. Se è pur vero che il troppo caldo non fa bene al lavoro, peggiore è l’effetto del freddo sulla produttività lavorativa. Parola di Alan Hedge, direttore del Dipartimento, vera autorità nel campo delle relazioni tra ambiente di lavoro e produttività.

Lo studio è stato condotto per la durata di un mese estivo negli uffici di una compagnia assicurativa a Orlando, in Florida. Tutte le postazioni sono state dotate di un piccolo sensore che misurava la temperatura dell’aria circostante ogni 15 minuti; in questo contesto i ricercatori hanno registrato con un apposito software il tempo che i lavoratori trascorrevano digitando sulla tastiera e quello invece impiegato per correggere gli errori.

Quando il sensore misurava, per esempio, 25 gradi, si è osservato che i lavoratori trascorrevano il 100% del tempo a digitare sul pc, con un margine di errore del 10%. A 20 gradi, invece, la percentuale scendeva al 54%, con il 25% di tempo trascorso a correggere errori.

Da qui la deduzione che la temperatura è una variabile chiave sul luogo di lavoro e ha un impatto non indifferente sulla capacità di concentrazione: in generale, si può affermare che influenza notevolmente le prestazioni professionali che, come si è visto, potrebbero raddoppiare con un aumento della temperatura.

Senza considerare poi l’impatto economico e ambientale della sempre maggiore richiesta di aria condizionata, soprattutto negli Stati Uniti, dove se ne consuma più di ogni altro Paese. Già nel 1992 il docente Gwyn Prins dell’Università di Cambridge si interrogava su quella che viene definitiva una vera ‘ossessione’ per gli Usa per l’aria condizionata, definita dallo stesso Prins come “un’epidemia pervasiva e inconsapevole”.

Secondo l’Agenzia per la protezione dell’ambiente Usa, la situazione sta peggiorando velocemente: basti pensare che la richiesta di aria condizionata è sempre più alta negli ultimi dieci anni. Raffreddare, poi, significa contribuire al riscaldamento globale: i condizionatori utilizzano circa il 5% di tutta l’energia elettrica prodotta negli Usa, con un costo annuale di oltre 11 miliardi di dollari e conseguente rilascio di 100 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

L’obiettivo del futuro secondo Hedge, autore della ricerca, è quello di – come lui stesso afferma – “Creare palazzi sempre più intelligenti con un design ambientale interno che massimizzi i comfort per i lavoratori, un aspetto che va di pari passo con la loro produttività”.

 

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