La provincia di Jujuy, situata nel nord dell’Argentina, è stata nel mese di giugno protagonista di importanti mobilitazioni contro lo sfruttamento del territorio, per la riappropriazione di beni comuni e diritti sociali delle popolazioni indigene.
Le proteste fanno seguito al cambio di potere che ha visto l’elezione del nuovo governatore di destra, Gerardo Morales, deciso a puntare sull’estrazione delle materie prime per risanare il debito.
L’abuso della costituzione nazionale
L’ Argentina è una repubblica presidenziale federale e dalla presidenza Macrì, terminata nel 2019, ha accumulato un debito di 36 miliardi di euro. Proprio per questo, Morales vuole rafforzare il mercato locale di esportazione attraverso una politica estrattivista. Tutto ciò a danno dei popoli indigeni.
Le lotte sociali che stanno travolgendo il Jujuy sono dovute alla proposta per la riforma costituzionale di Morales che, oltre a rafforzare la sua carica, è volta a sgomberare i popoli indigeni dalle loro terre per incentivare l’estrazione del litio e il consumo di acqua. Questa riforma è di fatto una forzatura della Magna Carta provinciale, la loro costituzione. Le modifiche sono state attuate senza una procedura democratica, né una consultazione, e aumenteranno le già evidenti differenze economiche. In questo modo, sarà più facile negare i diritti previsti dalla Carta Nazionale e avvantaggiare le élite imprenditoriali.
La recente mobilitazione, iniziata 5 giugno, ha visto una tanto grande lotta del popolo di Jujuy per reclamare i diritti sociali come i salari dignitosi e acqua e terra come beni comuni. Altrettanto grande è stata la repressione operata dalle forze dell’ordine, che con l’uso di gas lacrimogeni e armi ha causato decine di feriti. Un altro obiettivo della riforma è infatti criminalizzare qualsiasi protesta. Questo aspetto ha addirittura preoccupato il presidente dell’Argentina Alberto Fernandez che ha ammonito il governatore federale, invitandolo a “rispettare gli standard internazionali sui diritti umani”.
I popoli indigeni rivendicano i propri beni comuni e diritti sociali
Insieme agli insegnanti, da cui la protesta è partita, si sono unite anche le comunità dei popoli indigeni. Sono loro che hanno costruito insieme le vertenze per reclamare i loro diritti sociali e beni comuni, con la nascita di nuove assemblee. Quella di Pozo Colorado si è fermamente opposta allo sfruttamento del territorio per l’estrazione del litio presente nelle saline. Oltre a difendere il basico (ma a questo punto non scontato) diritto alla vita, all’acqua e alla terra, Pozo Colorado protesta anche per la disinformazione riguardo la riforma, invocando l’accordo 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Molta è la preoccupazione tra le famiglie indigene, che vedono limitata sempre di più la disponibilità di acqua e terra di giorno in giorno. Anche la comunità di Kolla di Caspalà accusa il governo di tirannia. Oltre ad una consultazione preventiva, rivendicano il diritto di libertà e di vita pacifica.
Il caso San Carlos: no all’acqua, si ad un parco solare
Nella provincia di Salta, nel nord-ovest argentino, anche il paese di San Carlos ha espresso il suo dissenso nei progetti che limitano il diritto al bene comune idrico. Il piccolo paese di 3.000 abitanti è stato elogiato per la sua purezza e bellezza. Un vero e proprio paradosso se pensiamo che nello stesso luogo sono stati inseriti pozzi artificiali che prelevano l’acqua dal fiume Calchaquì. Il problema riguarda le conseguenze di questi automatismi, poiché l’acqua è inquinata dal boro e arsenico, come ha confermato l’Istituto Nazionale di Tecnologia Industriale (INTI).
Davanti all’immobilismo delle istituzioni, che hanno negato più volte il rischio sanitario, gli abitanti di San Carlos hanno escogitato un modo autonomo per procurarsi acqua potabile sana. Come se non bastasse, è arrivata poi la proposta di un’istallazione di un parco solare proprio nello stesso sito. Un progetto che richiede 35 ettari di territorio per circa 30.000 pannelli. Il comitato degli abitanti ha enumerato tutti i problemi che questa grande opera può riscontrare. Oltre allo stravolgimento del territorio, vi è l’uso intensivo di acqua, la generazione di pericolosi campi elettromagnetici, il profitto delle multinazionali e il beneficio dei soli ricchi clienti.
Insomma, l’intero progetto è solo un altro tassello volto alla minaccia dei diritti sociali dei popoli indigeni argentini. In particolare, un paese riconosciuto a livello nazionale come bellezza naturale da preservare ora è minacciato dalle grandi opere volte allo sfruttamento del suolo. Ma non è tutto. La minaccia più grave è quella del sempre più limitato bene comune necessario per sopravvivere, l’acqua, ormai considerato un privilegio.
Lucrezia Agliani