Alle elezioni di domenica 27 ottobre in Argentina, Alberto Fernandez ha ottenuto una solida vittoria, con la sua coalizione Frente de Todos.
Con il 97% delle sezioni scrutinate, Alberto Fernandez si è aggiudicato il 48,1% dei voti, a seguito di una tornata elettorale che ha visto in Argentina una ampia partecipazione al voto. La coalizione Frente de Todos, un fronte ampio che riunisce i partiti del centro e della sinistra peronista, ha vinto le elezioni attaccando la politica liberista del presidente uscente Macri, che ha lasciato il paese in una condizione economica disastrosa. Il voto a favore del Frente de Todos è infatti espressione di una profonda attivazione politica delle masse argentine, che hanno marchiato la presidenza di Macri con il fuoco di proteste oceaniche.
Mauricio Macri si installò alla Casa Rojada il 10 dicembre del 2015, nel mezzo di una fase d’offensiva della destra latinoamericana, ringalluzzita dal fallimento dei governi “populisti” di sinistra di fronte alla crisi economica. Dopo dodici anni di kirchnerismo, Macri sconfisse al ballottaggio il candidato del Frente para la Victoria (il partito di Nestor Kirchner) Daniel Scioli, ribaltando i risultati del primo turno. Nonostante questa sconfitta storica, le elezioni di domenica hanno nuovamente portato al governo la sinistra peronista con il ritorno della “presidenta” Cristina Kirchner, che, dopo aver guidato l’Argentina per due legislature dal 2007 al 2015, ricoprirà il ruolo di vice presidente al fianco di Alberto Fernandez.
L’Argentina esce dalla presidenza di Macri piegata da una profonda crisi economica. Nel contesto più generale della crisi economica globale, le periferie produttive hanno patito forti danni e una svalutazione monetaria importante, e questo vale per l’Argentina, come per la Turchia o l’India. L’effetto delle manovre monetarie della Federal Reserve, la competizione sui mercati internazionali, i dazi e l’andamento centripeto degli investimenti, attratti dalle aree economiche più solide, hanno fortemente impattato prima di tutto i paesi la cui crescita era strutturalmente più debole e dipendente dal mercato globale. Tuttavia la politica economica liberista di Macri ha amplificato a dismisura questo sviluppo oggettivo dell’economia mondiale.
Firmando un accordo con il Fondo Monetario Internazionale, che prevedeva un prestito mastodontico di 57 miliardi di dollari, Macri ha indebitato spaventosamente l’Argentina e ha portato avanti un programma di tagli allo stato sociale senza precedenti per ripagare il debito. L’impatto di queste misure hanno portato a un’esplosione dell’inflazione, che attualmente si attesta attorno al 57,3%, mentre il dato della povertà segna un tragico 27%. L’erosione dei salari dovuta all’inflazione, il taglio dei servizi pubblici e l’aumento della disoccupazione hanno generato un grande movimento di massa contro il governo di Macri, che dopo numerose proteste ha trovato una sua momentanea espressione nell’elezione di Alberto Fernandez.
Nonostante la grande pressione popolare che ha spinto Alberto Fernandez, è difficile che il suo programma possa davvero ribaltare la situazione economica argentina. Il suo primo obiettivo sarà quello di rinegoziare il debito, eppure questo può essere più difficile di quando sembri. Già solo la sua vittoria alle primarie, con l’apparizione del “fantasma sovversivo” del peronismo, aveva generato un’ondata di sfiducia (e più di una tentazione di sabotaggio) negli investitori, contribuendo ad affossare maggiormente gli indici economici argentini. Anche Macri ha rinegoziato più volte con il Fmi, ma ciò che ci si aspetta da Fernandez è un accordo che i creditori non hanno motivo di accettare. Il Fondo farà concessioni solo sulla base della sottomissione ai suoi diktat, cioè di un programma di governo “à la Macri”.
Il programma del Frente de todos fa un generico appello a invertire il neoliberalismo della passata presidenza, ma non ha nessuna chiara proposta sull’inflazione e sui salari, se non una concertazione per giungere forse un giorno a legare i salari all’inflazione. Si fa riferimento a importanti investimenti statali, in stile Kirchner, ma non è chiaro con quali risorse e soprattutto non è scontato che i creditori gradiranno questo tipo di misure, che pongono argini non richiesti alla spoliazione dell’Argentina. Sicuramente gli argentini e le argentine si sono espressi con chiarezza, bisogna restare a vedere quanto grande sarà la capacità del nuovo governo di affrontare le sfide della crisi. Ma se c’è una cosa che insegna la politica italiana di questi giorni: “non fare peggio” della destra non significa “fare meglio” della destra.
Francesco Salmeri