Aree di conservazione in Kenya: il rapporto sugli abusi

Aree di conservazione in Kenya

Aree di conservazione in Kenya: l’Occidente mente ancora 

È l’Oakland Institute a scoperchiare il vaso di pandora. L’istituto che si definisce “serbatoio di pensiero politico leader nella ricerca e nella denuncia di situazioni di squilibrio e iniquità per quanto riguarda tematiche ambientali, sociali ed economiche attraverso azioni audaci”, denuncia nel suo ultimo report, quanto in realtà le cosiddette “aree di conservazione” gestite da ONG quali la Northern Rangelands Trust (NRT), stiano in realtà cacciando gli indigeni dalle loro terre, con azioni brutali, sparizioni e omicidi.

Cos’è la NRT e come ha agito

La Northen Rangelands Trust è una organizzazione fondata nel 2004 da Ian Craig con il sostegno della più poderosa organizzazione conservazionista statunitense, The Nature Conservancy (TNC). L’organizzazione sarebbe dunque coinvolta a pieno titolo nelle questioni economiche del paese, oltre a ricevere fondi dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti.

Ian Craig è un ex cacciatore, alla cui famiglia, il governo coloniale affida una tenuta a nord del Monte Kenya. La proprietà della famiglia Craig è celebre anche per i legami con la corona britannica: Lewa Wildlife Concervancy è infatti il celebre scenario del fidanzamento della coppia reale britannica William e Kate.

L’organizzazione, come riportato dal rapporto dell’Oakland Institute, comprende 39 aree di conservazione che vanno a coprire l’8% del territorio del Kenya.

Aree di conservazione in Kenya: cosa sono

Da pascoli, queste aree sono state convertite, secondo gli obiettivi della NRT di

“trasformare la vita delle persone, rendere quei posti più sicuri e preservare le risorse naturali”.

Ma in che modo è avvenuta questa trasformazione? Il resoconto dell’istituto riporta le testimonianze dei pastori originari di quelle terre; essi affermano che il cambiamento è avvenuto a suon di abusi e armi che hanno via via tolto agli originari proprietari le terre sulle quali vivevano e lavoravano. Un vecchio modus operandi, dunque, che ritorna ancora sotto mentite spoglie.

I membri della comunità hanno negli anni espresso in vario modo la loro contrarietà alle azioni dell’organizzazione, restando sempre inascoltati dal governo, anche quando denunciavano assassini di membri della comunità.

Tra gli abusi denunciati dalle indagini, oltre all’espropriazione delle terre nei confronti delle popolazioni locali, si parla di torture ed esecuzioni, le terre sono state inoltre rilevate con l’uso della forza. Quelle stesse terre diventano poi il parco giochi dei bianchi; luoghi di costosissimi Safari, dei quali gli originari proprietari non vedranno neanche un centesimo.

L’inchiesta, inoltre, è solo una delle tante; da anni Survival denuncia simili crimini.

L’imperialismo del XXI secolo

Ancora oggi, dunque, le ambizioni imperialistiche trovano spazio per strisciare ed arrivare a destinazione, compiendo razzie sotto le mentite spoglie della conservazione, che ha tutto il sapore di quella che un tempo veniva chiamata civilizzazione. In che modo la gestione dell’uomo bianco per l’uomo bianco può costituire un motivo di conservazione delle popolazioni indigene dell’Africa? Per di più ciò avviene in un luogo ben frequentato dalla corona britannica. E soprattutto, quanto ci sconvolge tutto ciò? Quanto siamo inconsciamente consapevoli di ciò che avviene lì dove il carico di popolazione è maggiore e inversamente proporzionale alle cure mediche degli altri paesi?

Senza retorica, a secoli di distanza, risuonano le semplici e accecanti parole del Capo Indiano Seathl in risposta al presidente americano Franklin Pearce, in una lettera risalente al 1855.

“Ma come potete comprare o vendere il cielo ed il calore della terra?

Questa idea è strana per noi. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria e lo scintillio dell’acqua come puoi tu comprarle?”

 

Ad ogni costo, anche a costo della vita, sembra tutt’ora essere la risposta.

Exit mobile version