La vicenda di Archie Battersbee, oltre ad essere struggente, solleva molte questioni di natura etica e pratica.
Il 6 Agosto 2022 il dodicenne britannico Archie Battersbee muore, dopo la sospensione delle cure che lo tenevano in vita artificialmente.
La vicenda ebbe inizio il 7 Aprile 2022, per giungere al triste epilogo non senza molte peripezie.
Gli eventi da Aprile ad Agosto
Il 7 Aprile 2022 il giovane Archie viene trovato privo di sensi in casa, a seguito di un tentativo di emulare una challenge vista su Tik Tok.
In principio viene portato d’urgenza all’ospedale più vicino, a Southend, salvo essere trasferito il giorno dopo al Royal London per cure specializzate.
L’iter legale mirato a stabilire le funzioni celebrali del dodicenne ha inizio il 26 Aprile, il cui permesso viene accordato solamente in data 13 Maggio.
Il 16 Maggio, il corpo di Archie non risponde a test preliminari per poterne stabilire le funzioni cerebrali.
In data 25 Maggio si decide di procedere con una risonanza magnetica, alla quale la famiglia si oppone perché spostare Archie potrebbe essere pericoloso.
Il 27 Maggio si ottiene il nullaosta per la risonanza magnetica, che ha luogo il 31 Maggio.
Purtroppo l’esito non è affatto buono e Archie viene dichiarato morto, sebbene il suo cuore ancora batta, grazie ai macchinari.
La famiglia, allora, inizia un lungo percorso di ricorsi su ricorsi. Purtroppo ogni sentenza è uguale all’altra: per il piccolo non c’è più nulla da fare, la situazione è irrecuperabile.
La famiglia arriva addirittura a rivolgersi alle Nazioni Unite, in data 29 Luglio.
Alla fine, il 4 Agosto, la famiglia chiede di poter trasferire Archie in una struttura mirata alle cure di fine vita. Si vedono rifiutato il permesso ed Archie, in data 6 Agosto, muore, circondato dalla propria famiglia.
La questione etica
La famiglia di Archie, a seguito di quanto avvenuto, ha dichiarato che spera che da questa vicenda emerga almeno qualcosa di utile. Hanno spiegato come fin troppe famiglie abbiano dovuto affrontare una situazione simile, vedendosi messe alle strette e costrette a “staccare la spina” ai propri cari contro la propria volontà. La pressione, anche tempistica, e l’iter legale e burocratico ai quali sono stati sottoposti sono stati inaccettabili, a loro parere.
Purtroppo non è il primo caso del genere e probabilmente non sarà l’ultimo, ma apre sicuramente la strada ad un fervido dibattito.
A chi spetta l’ultima parola, in questi casi? Alla famiglia o al personale sanitario?
Il caso ha avuto una copertura mediatica internazionale non da poco, tant’è che è disponibile anche una pagina Wikipedia su quanto accaduto.
Moltissimi gruppi britannici pro-life e religiosi non hanno esitato a far sentire la propria voce in questa situazione, chiedendosi cosa si intenda per morte in questi casi.
Decisioni di questa natura, ovviamente, vanno prese in chiave medica senza ingerenze esterne come quelle religiose, ma non si può far a meno di mettersi nei panni della famiglia. Trasferire Archie in un’altra struttura, provare a prolungare un minimo i tempo o effettivamente sospendere le cure ma con meno pressione sono tutte richieste legittime ed umane.
Purtroppo ci sono numerosi livelli tra etica, medicina e legge che si sovrappongono e scavalcano. A volte per il meglio, altre meno.
Il fine vita è ancora un argomento spinoso in moltissime parti del mondo, Italia inclusa. In alcuni Paesi non è previsto, in altri molto libero, alle volte influisce il peso religioso, altre prevale solamente il senso pratico. Ma cosa conta di più, forse, andrebbe analizzato quasi caso per caso.
Iniziando una discussione collettiva sempre più persone capirebbero cosa preferirebbero in una simile circostanza.
Rendere tabù qualcosa perché spaventa o è complesso non giova a nessuno, e la vicenda di Archie ne è la prova.
Si spera che in futuro si possa trovare un equilibrio migliore per gestire situazioni del genere, partendo ora da necessarie riflessioni.