Archeologia: indagini a Bethel Woods, il sito del concerto di Woodstock

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Fonte: commons.wikimedia.org; immagine di Woodstock Whisperer.

Nel 2019 ricadono molto anniversari importanti per la storia contemporanea e tra questi vi è il cinquantenario del festival di Woodstock, un evento di importanza capitale per la storia della musica e della cultura del Novecento.

Tra le diverse celebrazioni dell’anniversario c’era anche l’intenzione di organizzare un evento commemorativo proprio dove si tenne il concerto dell’agosto 1969, nel campo di Bethel Woods, New York; sembra però che questa proposta sia stata accantonata definitivamente, a causa di problemi di natura organizzativa e considerando anche gli insuccessi dei precedenti concerti commemorativi di Woodstock. Oggi Bethel Woods è un’area protetta ed inserita dal 2017 nel registro nazionale dei siti storici (National Register of Historic Places).

Ciononostante, per la speciale ricorrenza è stata aperta un’indagine archeologica sul sito che ospitò il festival: la ricerca, condotta dagli archeologi della Binghamton University, insieme al Museo di Bethel Woods e al Bethel Woods Center for the Arts si è limitata ad una ricognizione superficiale del terreno, senza intraprendere veri e propri scavi. Infatti fondamentali sono stati non solo i documenti del comitato organizzativo del festival di Woodstock, ma anche la fotogrammetria aerea della zona interessata e il confronto con le foto di repertorio dell’evento.

Ad una prima occhiata è apparso evidente il cambiamento radicale subito dal paesaggio nell’arco di cinquant’anni: infatti, là dove nel concerto del 1969 c’erano distese libere, ora sono cresciute delle foreste, ma non è tutto. Confrontando i dati dei piani del comitato organizzativo con le evidenze ritrovate sul campo, si evince che la realtà di Woodstock si discostava di molto dall’idea che propongono i documenti. D’altronde, il festival venne pianificato ipotizzando un’affluenza di 50.000 persone, mentre di fatto sul campo di Bethel Woods ne giunsero 400.000, tutti riuniti per godersi “tre giorni di pace e musica”.




Il Bindy Bazaar

Era prevedibile che Woodstock si fosse “sviluppato in modo tale che gli organizzatori non sono riusciti a controllarlo”, per citare le parole di Maria O’Donovan, direttrice del progetto archeologico, ma ora ci sono delle evidenze concrete che confermano questa ipotesi. Lo studio ha interessato soprattutto l’area dedicata alle bancarelle e ai chioschi, nota come Bindy Bazaar, dove avvenivano la vendita, lo scambio e/o il baratto di oggetti.

In questa zona, secondo i piani dell’organizzazione, avrebbero dovuto esserci solo 24 chioschi distribuiti su tutta l’area, mentre gli archeologi hanno trovano non solo indizi della presenza di più chioschi e bancarelle di quanti previsti nei piani, ma organizzati in maniera completamente diversa grazie alle tracce riconducibili ad un’attività antropica.

Il Bindy Bazaar in particolare, sempre secondo la direttrice, è l’espressione più concreta dello spirito e della cultura che Woodstock rappresenta.

Come fa notare la stessa O’Donovan, paradossalmente non sono stati ritrovati oggetti o resti legati all’uso e consumo di droghe, ma bisogna ricordare che la ricerca sul sito di Woodstock ha interessato solo la superficie e non è entrata più in profondità nel terreno, oltre ad aver studiato solo una piccola area di terreno rispetto al sito complessivo.

Barbara Milano.

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