Ricostruire le navi romane grazie alle immagini 3D raccolte nei fondali del Mar Mediterraneo, fotografando carichi di marmi naufragati. È l’obiettivo di “Le rotte del marmo“, progetto che è un vero e proprio viaggio sottomarino, una ricerca archeologica tra i carichi di marmi di età romana imperiale naufragati nei mari dell’Italia meridionale.
La tappa più recente è in Sicilia: i ricercatori di Ca’ Foscari e Iuav hanno esplorato l’enorme carico, uno dei più grandi in assoluto del Mediterraneo antico, lasciato in fondo al mare da una nave nei pressi dell’Isola delle Correnti. Il progetto, coordinato da Carlo Beltrame, docente di archeologia marittima del dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Cà Foscari Venezia, è in collaborazione con la Soprintendenza del mare di Palermo e apre nuovi scenari nel campo della ricerca archeologica sottomarina.
Si tratterebbe, secondo le stime, di 290 tonnellate di marmo, perlopiù proconnesio (una varietà di marmo bianco usato durante l’Impero romano) proveniente dall’isola di Marmara, in Turchia. Le informazioni tratte da questa spedizione si aggiungeranno a quelle già raccolte a Punta Scifo, Calabria, e nel 2014 a Marzamemi e Capo Granitola, in Sicilia. In tutti questi casi si tratta di relitti di navi romane datati preliminarmente al III secolo d. C., con carichi di marmi orientali.
Il legno delle navi è andato quasi completamente perduto. Il loro carico, che nel caso di Punta Scifo arrivava a 350 tonnellate di marmi, è invece rimasto a documentare il naufragio. I ricercatori stanno applicando dei metodi innovativi per ricomporre la disposizione del carico e da questa ricostruire la nave. La prima ricostruzione preliminare in 3D è stata realizzata per il relitto di Marzamemi, mentre per gli altri siti lo studio è in corso. Questa sfida è resa possibile della fotogrammetria, tecnologia ben nota ad esempio in architettura e nel rilevamento topografico. Il progetto “Le rotte del marmo“, invece, porta la fotogrammetria sperimentale in fondo al Mediterraneo, avvalendosi della consulenza di Francesco Guerra, responsabile del laboratorio di fotogrammetria dell’Università Iuav di Venezia.