Arati Saha, la nuotatrice indiana che sfidò il maschilismo…e vinse

Arati Saha, accade oggi

Arati Saha fu la prima donna indiana che nel 1959 attraversò il Canale della Manica a nuoto, ma cosa succedeva nel frattempo alle donne indiane?

Accade oggi – il 24 settembre di 80 anni fa nasceva a Calcutta Arati Saha, la protagonista del doodle di Google di oggi. Ma chi era questa donna? Cosa la rese celebre? La giovane Arati, avvicinatasi al nuoto da bambina, all’età di 12 anni gareggiò alle olimpiadi di Helsinki 1952, dove si classificò 33esima ai 200 metri rana. Pochi anni dopo cominciò a prendere parte a gare di nuoto nel fiume Gange. All’età di 19 anni, sulle orme del suo idolo Brojen Das, il primo nuotatore indiano ad attraversare La Manica nel 1958, decise di cimentarsi anche lei nell’impresa.




A dispetto delle limitazioni e pregiudizi imposti alle donne indiane degli Anni Cinquanta, la nuotatrice 19enne sfidò le temute correnti del Canale della Manica il 27 agosto 1959. Tuttavia, l’impresa non andò a buon fine, ma la Saha non si diede per vinta. Infatti, il 29 settembre dello stesso anno, partendo da Capo Gris Nez, in Francia, Arati Saha arrivò a Sandgate, in Inghilterra, dopo aver nuotato per 42 miglia. Da lì ebbe inizio la sua celebrità. Ma l’India che da poco aveva raggiunto l’indipendenza, mentre da un lato onorava la prima nuotatrice asiatica che tagliò questo traguardo, dall’altro chiudeva gli occhi davanti a ciò che le sue connazionali continuavano a subire nelle comunità rurali.

Gli Anni Cinquanta, l’alba di una nuova India, forse, anche per le donne?

Nel 1960, Arati Saha venne insignita del Padma Shri, quarta onorificenza indiana. Morì nel 1994. La città di Calcutta le ha dedicato un monumento nei pressi di quella che era la sua abitazione, dedicandole il tratto di strada antistante. Nel 1999 venne emesso un francobollo in suo onore. La sua vittoria avvenne proprio quando la condizione delle donne indiane stava attraversando un periodo di transizione.




Infatti, a partire dal 1947, con l’uscita degli inglesi dal paese e la successiva separazione dal Pakistan, l’India divenne indipendente. La costituzione redatta nel 1950 concede ed assicura alla popolazione femminile di poter partecipare liberamente in settori quali l’istruzione, lo sport, la politica, i media, l’arte e la cultura, oltre che impiegarsi nei servizi e gli ambiti scientifici e tecnologici. La Costituzione garantisce a tutte le donne l’uguaglianza (art.14) e nessuna discriminazione da parte dello stato (art.15). Parità di opportunità (art.16) e parità di retribuzione a parità di lavoro (art.39). Contiene inoltre disposizioni speciali da mettere in atto a favore di donne e bambini, la rinuncia totale a pratiche sprezzanti per la dignità umana (art.51), garanzia delle giuste condizioni di lavoro e di aiuto alla maternità (art.42).

Questo recita la Carta, ma…

Bisognò aspettare solo i movimenti attivisti degli Anni Settanta per trasformare in reati pratiche come la Sati, lo stupro sotto custodia, il traffico umano, il matrimonio precoce e l’aborto selettivo. Tuttavia, questo non riuscì mai ad impedire quello che accadeva realmente.

La Sati, nonostante l’abolizione, dopo l’indipendenza nel 1947 continuò ad essere praticata. Sono stati segnalati in India almeno una quarantina di casi. La pratica consiste nel rituale di bruciare viva la vedova insieme al marito appena morto, a prescindere dalla volontà della donna.




Il tasso di spose bambine in India è del 56% soprattutto nelle zone rurali. Inoltre, il rapporto tra i sessi è molto distorto a favore dei maschi. Ciò è attribuito sia all’infanticidio che all’aborto selettivo femminile, che ancora oggi colpisce circa un milione di neonate l’anno. Lo stupro coniugale a tutt’oggi non è ancora un reato ed è tra i più diffusi in India. La legge per la prevenzione del traffico di esseri umani è stata approvata nel 1956. Tuttavia esso è ancora praticato.

Questo è quello che succede davvero dietro le quinte di un’India antitetica. Da un lato Arati Saha rappresenta quella fetta di popolazione femminile che “ha vinto”, ma davanti ad una realtà celata, la maggior parte della popolazione continua a “perdere”.

Silvia Zingale

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