Arabia Saudita: la pena di morte si rischia anche online

Pena di morte e prigione

Pena di morte e condanne in carcere

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Si infuoca la repressione del regno saudita sorretto dal principe ereditario Mohammed Bin Salman contro le voci della dissidenza. Adesso la pena di morte si rischia anche per la pubblicazione di notizie sui social network

La schiacciante pressione del governo saudita contro i dissidenti sta notevolmente aumentando negli ultimi anni. Attivisti per i diritti umani, giornalisti, funzionari e normali cittadini rischiano la vita quotidianamente per tentare di svelare i brutali meccanismi di repressione attuati dal regno. Alcuni sono misteriosamente scomparsi o hanno perso la vita, come il giornalista e scrittore Jamal Khashoggi, ucciso tra i corridoi del consolato saudita a Istanbul, in Turchia.

L’accademico Awad Al-Qarni, professore di diritto 65enne – noto per le sue posizioni riformiste – arrestato nel 2017 e ancora in attesa di una sentenza definitiva, rischia la vita per aver condiviso notizie considerate “ostili” al regno.  I pubblici ministeri sauditi infatti, hanno chiesto la pena di morte. Tra i reati contestati, quelli di possedere un account Twitter e di utilizzare il famoso sistema di messaggistica WhatsApp per condividere notizie contrastanti rispetto al regno.

Il caso Awad Al-Qarni è particolarmente significativo. Dal suo arresto, nel 2017, inizia la grande ondata di persecuzioni e condanne contro i dissidenti. Soprattutto contro coloro che diffondono i propri pensieri nel mondo online. L’uso dei social media e di altri dispositivi di comunicazione, per quanto riguarda l’espressione del dissenso, è stato fortemente criminalizzato dal regime. Tuttavia, la prospettiva della pena di morte per queste casistiche è emersa solo di recente ed è molto preoccupante.

Le nuove modalità di repressione

Le associazioni per i diritti umani e i dissidenti sono da tempo in esilio forzato per non incappare nella morsa della prevaricazione. Le autorità saudite in compenso, stanno attuando nuove modalità di repressione. Una studentessa saudita dell’Università inglese di Leeds, tornata temporaneamente nella sua terra natale per una vacanza, è stata condannata a 34 anni di carcere. Accusata di avere un account Twitter e di aver cliccato il tasto “segui” verso alcuni dissidenti o attivisti – ripubblicando i loro contenuti – la studentessa dovrà ora  trascorrere parte della sua vita in carcere.

Social network presi di mira

E’ evidente come il governo saudita stia mettendo a punto persecuzioni improntate sugli utenti della rete. In particolare è Twitter il social che più spesso viene preso di mira dai funzionari, date le sue importanti capacità di diffondere storie e voci che esprimono contrarietà verso il regime. Anche un’altra donna infatti, è stata arrestata recentemente dal regime per le stesse motivazioni. Si chiama Noura al-Qahtani e dovrà scontare 45 anni di carcere per aver utilizzato Twitter.

Le mancate reazioni degli stati occidentali, tra eventi sportivi e silenzi diffusi, non aiutano. Il governo saudita potrebbe intensificare le condanne a morte e sempre più voci potrebbero essere ammutolite ogni giorno.

Antonio Pellegrino

 

 

 

 

 

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