Arabia Saudita 2030: dopo il Qatar, un altro mondiale del sangue?

Arabia Saudita 2030

Qatar 2022 potrebbe rappresentare l’apripista per un altro discutibile mondiale in Arabia Saudita nel 2030.

Un’ecatombe cominciata ben prima della sua effettiva manifestazione: questa la parola più adeguata per descrivere Qatar 2022. Un’ecatombe di operai, di diritti, delle briciole seminate in questi anni dalla Fifa, con le campagne di sensibilizzazione che accompagnavano le varie competizioni. A trionfare è stata in realtà, l’ipocrisia. Quest’ultima è una presenza costante, il leitmotiv che ha seguito le vicende qatariote dal 2010, anno della designazione, spingendosi ben oltre la loro naturale conclusione, fino a creare un valido precedente, in termini di coerenza, perché l’Arabia Saudita possa candidarsi per l’edizione del 2030.

Qatar 2022: un breve resoconto

Le accuse di corruzione dei dirigenti Fifa nel 2010 hanno rappresentato la cerimonia d’apertura dell’edizione appena conclusa. In base ad un macabro gioco di simmetrie, il mondiale si è chiuso con le recenti e ulteriori accuse di corruzione che hanno stravolto il Parlamento europeo.

In mezzo a queste “partite” di tangenti, nella cornice di stadi degli orrori, quasi 7000 operai hanno “giocato”, morendo, su un manto erboso macchiato di rosso. Ad un simile contesto fanno infine da contorno le innumerevoli violazioni dei diritti umani per cui il Qatar sovente si è distinto e i corrispondenti divieti di protestare impartiti dalla Fifa, che hanno impedito, in un tripudio di ipocrisie, ai giocatori di indossare le fasce arcobaleno in difesa delle comunità Lgbt.

Per sommi capi questi sono gli highlights degni di nota dell’ultima edizione del mondiale.

Arabia Saudita 2030

Nell’arco del prossimo decennio, l’Arabia Saudita potrebbe rivelarsi la nuova protagonista del panorama calcistico mondiale. Sarebbe il fallimento delle proteste e delle critiche all’edizione appena conclusa e la legittimazione definitiva della prevaricazione concettuale e materiale del denaro sulla morale e sul tema dei diritti.

Il progetto “Vision 2030” dell’erede al trono saudita Bin Salman, volto all’affrancamento dell’economia del paese dal petrolio, potrebbe trovare la propria consacrazione definitiva con un’eventuale assegnazione dell’edizione dei mondiali del 2030. L’ennesimo tentativo di “sportwashing”, ovvero di lavaggio delle molteplici macchie che inondano il regime saudita, dal caso Khashoggi al sistema della Kafala tuttora in vigore, passando per la drammatica condizione della donna e altre notevoli violazioni dei diritti umani. Secondo Stanis Elsborg:

“Non si tratta soltanto di sportwashing, ovvero dell’utilizzare lo sport per ripulire la propria immagine, ma anche del tentativo di servirsi di questo potente strumento per aumentare la propria influenza nelle relazioni internazionali”

In ogni caso la sfida al Qatar sul piano calcistico è aperta: la coppa d’Asia si giocherà in Arabia nel 2027, le rispettive Supercoppe di Spagna e Italia da anni e per anni si giocheranno lì, nel 2021 il Pif ha acquistato il Newcastle e infine, ma non per importanza, Messi è stato nominato ambasciatore del turismo mentre Cr7 testimonial per gli eventuali mondiali del 2030.

Il calcio rappresenta un ottimo strumento per ripulire l’immagine di un paese molto discusso come l’Arabia. Lo sport è sempre stato il displuvio attraverso cui inserirsi in relazioni e affari che vanno ben al di là dell’ambito sportivo. Un esempio è stato lo stesso Qatar che negli ultimi anni ha ampliato le sue proprietà in Europa e nel mondo, così come la sua ingerenza, come dimostrato dal Qatargate scoppiato nel mese scorso.



La posizione della Fifa: Gianni Infantino

Mentre questi inquietanti scenari si affacciano sull’immediato futuro, Gianni Infantino, attuale presidente della Fifa, decide di scattare un selfie di fianco alla bara di Pelè. Come si poteva immaginare, la bufera social non ha aspettato troppo tempo prima di scoppiare. Il gesto, seppur deprecabile e irrispettoso, è sicuramente poca cosa, rispetto alle dichiarazioni recenti dello stesso Infantino. Il presidente della Fifa infatti, dopo aver minimizzato le violazioni dei diritti umani da parte del Qatar all’inizio del mondiale, ha deciso di accompagnare la chiusura dello stesso, descrivendolo come: L’edizione più bella di sempre.

Naturalmente questo è passato inosservato agli agitatori di bufere social, a differenza dell’ormai celeberrimo selfie, dimostrando ancora una volta come le masse si fomentino dove è più facile, quindi conveniente, aizzarsi.

Sempre più ambigua, infine, la posizione della Fifa, mai radicalmente schierata in difesa di diritti che per anni hanno formato l’oggetto delle continue campagne di sensibilizzazione. I repentini e costanti cambi di fronte su queste tematiche dimostrano invece la tendenza a voler separare il calcio dal rispetto dei diritti umani. Questa è la strada presa dalla Fifa: desacralizzare il calcio disossandolo di ogni elemento estraneo alle logiche del profitto.

Avallare la candidatura di un paese costellato da violazioni dei diritti umani, probabilmente ancor più numerose di quelle del Qatar, significherebbe “istituzionalizzare” tali violazioni. In tal modo si chiuderebbe ben più di un occhio, dimostrando come il mondiale appena concluso sia soltanto l’origine di un’ipocrisia che con Arabia 2030 potrebbe divenire consuetudine, indebolendo valori che la Fifa porta avanti, ma concretamente non persegue, lasciando ampi spazi a chi li reprime e li scavalca, e scarnificando l’essenza stessa dello sport come nobile mezzo per veicolarli.

 

Raffaele Maria De Bellis

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