Arabi israeliani: “il popolo invisibile” che sopravvive in un limbo

arabi israeliani

Uno dei punti centrali della propaganda sionista è l’idea di una società israeliana mista e multiculturale, un sistema multietnico dove tutte le etnie sono integrate e rispettate. Ma questa narrazione vacilla di fronte alla realtà di un “popolo invisibile” relegato al limbo del “non abbastanza”: gli arabi israeliani, circa il 20% della popolazione (1,2 milioni), discendenti dai palestinesi non cacciati nel 1948.


Uno dei punti centrali della propaganda sionista è l’idea secondo cui la società israeliana possa considerarsi mista e multiculturale. Un sistema multietnico dove appunto tutte le etnie sono perfettamente integrate e rispettate nella propria specifica identità.

Raramente si parla di quel “popolo invisibile” costretto nel limbo del “non abbastanza” che pur essendo parte dello Stato d’Israele occupa l’ultimissimo gradino della scala sociale: gli arabi israeliani.

Chi sono gli arabi israeliani?

Gli arabi israeliani, ovvero quei nativi palestinesi che non sono stati cacciati dalle loro terre nel 1948 e hanno ottenuto cittadinanza israeliana, rappresentano il 21% della popolazione dello Stato d’Israele (circa 1,2 milioni ).

Molti di questi cittadini arabi valutano concretamente la possibilità di emigrare in Europa o in altri paesi arabi per via delle discriminazioni subite in vari ambiti. Il numero di arabi disoccupati è il più alto in assoluto, il reddito medio è il più basso tra tutti i gruppi etnici presenti nel paese. Il 42% dei palestinesi cittadini israeliani all’età di 17 anni ha già abbandonato gli studi.

Difficoltà d’inserimento in ambito lavorativo

Anche coloro che riescono ad ottenere il diritto all’istruzione, poi riscontrano grossi ostacoli a trovare un lavoro che rispecchi titoli e competenze conseguite. Le opportunità lavorative per gli arabi palestinesi sono scarse e pure le possibilità d’avanzamento di carriera.

Ai nativi palestinesi con cittadinanza Israeliana non solo sono preclusi posti di lavoro direttivi e di responsabilità, ma anche tutte quelle agevolazioni che lo stato israeliano riserva a coloro che hanno svolto il servizio militare, per l’acquisto di case, automobili e altri beni di consumo. Gli arabi israeliani non sono chiamati a svolgere il servizio militare, a differenza dei drusi, che comunque occupano una posizione inferiore nella gerarchia sociale.

Cittadini di serie A e di serie B

Il sistema giuridico israeliano è fortemente discriminatorio, infatti distingue i cittadini in due categorie di cittadinanza. La categoria “A” a cui appartengono coloro  che la legge definisce come “Ebrei”, ai quali viene attribuito un accesso prioritario alle risorse materiali dello Stato, per quanto riguarda le politiche di assistenza sociale e il godimento di beni e servizi, quali per esempio l’acqua e le assegnazioni di terre.

I cittadini di categoria “B” invece, classificati per legge come “non Ebrei”, cioè “Arabi” subiscono un trattamento differente sul piano del welfare state e l’accesso a risorse essenziali è limitato.

Una società gerarchica e piramidale

La società israeliana ha una struttura piramidale e gerarchica, ogni cittadino non viene riconosciuto uguale davanti alla legge ma è discriminato su base razziale. All’apice della piramide sociale si trovano gli ebrei ashkenaziti laici, mentre gli arabi sono collocati nella parte più bassa.

Gli arabi israeliani vivono in una situazione di forte emarginazione, combattono quotidianamente contro discriminazioni sociali e politiche, differente trattamento sul piano giuridico e lavorativo, disoccupazione, grave disagio economico, condizioni ideali che rappresentano terreno fertile per il proliferare della disperazione più nera e l’insorgere di disturbi psichici quali ansia e depressione.

Non sorprende quindi un altro dato che riguarda la dipendenza dagli psicofarmaci da parte dei nativi arabi con cittadinanza israeliana.

Sopravvivere in un limbo

Gli arabi israeliani costituiscono il cosiddetto “popolo invisibile”, quella minoranza a cui non è stata strappata letteralmente la terra da sotto i piedi, non ha subito il trauma dello sradicamento e della deportazione forzata ma sopravvive in un limbo, costretta a scegliere fra restare in casa propria e subire discriminazioni oppure andarsene, perché di troppo.

Di troppo per essere considerati cittadini meritevoli di diritti al pari degli ebrei.

Di troppo per essere riconosciuti e rispettati nella propria specifica identità.

Di troppo per poter parlare liberamente la propria lingua madre senza essere guardati con disprezzo, derisi, umiliati e additati come terroristi.

Stranieri in casa propria da tenere a debita distanza perché potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale.

 

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